Vuoi salvare il clima? Smetti di credere di essere eco-friendly (VIDEO)

Quando prendiamo decisioni "eco-compatibili", il nostro cervello può portarci fuori strada

[6 Marzo 2019]

Secondo lo studio “Why People Harm the Environment Although They Try to Treat It Well: An Evolutionary-Cognitive Perspective on Climate Compensation”, pubblicato su Frontiers in  Psychology da Patrik Sörqvist e Linda Langeborg dell’università svedese di Gävle, «Le persone tendono a giudicare il loro impatto ambientale utilizzando l’intuizione morale che si è evoluta per gestire lo scambio sociale,  ma questo può fare più male che bene».

Una nuova teoria suggerisce che pensiamo alla nostra relazione con l’ambiente come a uno scambio sociale, il che ci porta alla convinzione che un comportamento “rispettoso dell’ambiente” possa compensare il comportamento “dannoso”. Ma a differenza di un errore di valutazione sociale, la nostra impronta ambientale non può essere “smussata”.

Il nuovo studio rivela come i pubblicitari, i politici e i sistemi economici giocano sulla psicologia  della “compensazione climatica”  e incoraggia un nuovo approccio razionale.

Per spiegare perché facciamo del male all’ambiente, anche quando cerchiamo di trattarlo bene, gli psicologi svedesi hanno una teoria: è praticamente impossibile tenere traccia dell’impatto ambientale di ognuna delle nostre azioni, quindi per valutare la nostra impronta ecologica ricorriamo a “regole empiriche” mentali. «Il problema- dicono –  è che questi giudizi innati e intuitivi si sono evoluti per affrontare l’interazione sociale, dove le decisioni moralmente rette e ingiuste possono annullarsi a vicenda».

Sörqvist  che insegna psicologia ambientale all’università di Gävle, spiega ancora: «La reciprocità e l’equilibrio nelle relazioni sociali sono stati fondamentali per la cooperazione sociale e, quindi, per la sopravvivenza, così, attraverso la selezione naturale, il cervello umano si è specializzato per calcolare e cercare questo equilibrio. Ma se applicato ai cambiamenti climatici, questo pensiero sociale sul dare e prendere porta a pensare erroneamente che le scelte “verdi” possano compensare quelle insostenibili. In realtà, tutti i consumi causano danni permanenti all’ambiente, e le opzioni verdi sono nel migliore dei casi meno dannose piuttosto che riparatrici. Non puoi baciare l’ambiente e truccarti. Andare in jet nei Caraibi ti caricherà di un enorme peso ambientale, non importa quanti lunedì senza carne fai».

Ma la convinzione che si possa fare “compensazione climatica” è pervasiva e i due ricercatori svedesi sottolineano che «Gli studi dimostrano che quando i cosiddetti prodotti “eco-friendly” vengono aggiunti a una serie di prodotti “convenzionali”, le persone ritengono che l’impatto ambientale dell’intero set sia invariato o addirittura ridotto».

Sörqvist aggiunge: «Ad esempio, altri ricercatori hanno dimostrato che la gente pensa intuitivamente che, insieme, il peso ambientale di un hamburger e di una mela biologica fosse inferiore al peso ambientale dell’hamburger da solo, o che le emissioni totali di un parco auto rimanessero le stesse quando a quella  flotta vengono aggiunte delle auto ibride»

Questo meccanismo psicologico ci porta a perseguire tutti i tipi di correzioni sbagliate per alleviare la nostra eco-colpa: «Le persone potrebbero acquistare generi alimentari extra perché sono “etichettati ecologicamente”; pensano di poter giustificare il viaggio in aereo  per le vacanze all’estero perché sono andati in bicicletta per lavorare, o di poter fare più docce perché hanno ridotto la temperatura dell’acqua. E le compagnie – e anche le nazioni – pretendono di bilanciare le emissioni di gas serra piantando alberi o pagando per compensare le emissioni di carbonio attraverso l’European Union Emission Trading Scheme. Intanto, la cosa migliore che potremmo fare per l’ambiente sarebbe naturalmente consumare meno in generale».

I due ricercatori svedesi sono convinti che  per indirizzare meglio i comportamenti delle persone, delle imprese e degli Stati lontano da comportamenti dannosi per l’ambiente attuati in nome della compensazione climatica, ci vorrebbero invece una legislazione più severa sugli strumenti di marketing e una stima obbligatoria dell’impronta di carbonio dei prodotti.

«Termini come “eco-friendly” o “green” incoraggiano la visione che gli oggetti, i comportamenti e le decisioni con queste etichette sono “buoni” per l’ambiente, piuttosto che “meno cattivi”  – conclude la Lagenborg –  Ad esempio, definire un ristorante di hamburger “100 % climate compensated’”, può indurre la gente a credere che cenare in quel ristorante non abbia un peso ambientale. Invece, potremmo fornire ai consumatori un feedback immediato su quanto è “eco-etichettato” e su altri prodotti che si vanno ad aggiungere all’impatto ambientale di ciò che stanno acquistando. Ad esempio, i sistemi di auto-scansione nei supermercati potrebbero fornire ai clienti una stima dell’impronta di carbonio accumulata nel loro carrello della spesa».

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