Il rapporto Oxfam su quantità, qualità, sanità e accessibilità a tutti degli alimenti

Alimentazione, ma chi mangia meglio nel mondo? Risultati a sorpresa

[15 Gennaio 2014]

Oxfam ha presentato oggi il suo  Good Enough to Eat Index che spiega quali sono i migliori e i peggiori posti nel mondo per l’ alimentazione. «Un indice globale sull’alimentazione che confronta i dati di 125 Paesi – spiega l’Ong – e analizza come affrontano la sfida di garantire una alimentazione ricca, nutriente, sana e accessibile a tutti i propri abitanti». La classifica prende in considerazione la qualità degli alimenti, l’accessibilità, la presenza di una dieta salutare e si chiede quanti abbiano a disposizione una quantità di cibo sufficiente.

Al primo posto c’è l’Olanda, seguita da Francia e Svizzera, mentre l’Italia della dieta mediterranea è solo ottava, a pari merito con Irlanda, Portogallo e altri Paesi e subito dietro ad Austria, Danimarca, Svezia e Belgio. Un risultato che non soddisfa per niente Elisa Bacciotti, direttrice campagne di Oxfam Italia: «Un piazzamento deludente per un Paese che fa del mangiar bene un tratto forte e distintivo dell’identità nazionale e che ospiterà l’Esposizione Universale di Milano proprio sui temi della sicurezza alimentare. L’Italia potrebbe essere al primo posto, ma nel nostro Paese sempre più persone fanno fatica a mangiar sano e far quadrare il bilancio: il costo della vita in generale è alto rispetto al reddito medio degli italiani, che in proporzione spendono di più rispetto ad altri paesi e hanno meno possibilità di acquistare cibo buono a buon mercato». L’Ong sottolinea che «L’indice evidenzia come  la fame e la scarsa qualità del cibo siano estremamente diffuse in un mondo nel quale, anche nei Paesi più sviluppati come l’Italia, è sempre più difficile assicurare equamente l’accesso a cibo sano e nutriente». L’accessibilità al cibo è stata calcolata sulla base del Domestic Food Price Level Index di Fao e Banca Mondiale e a sorpresa vede all’ultimo posto in Europa occidentale la Gran Bretagna e Cipro, mentre Paesi economicamente potenti come Brasile, Canada, Giappone, Nuova Zelanda ed Usa sono fuori dalla top 20.

Ma la maggioranza del pianeta ha problemi molto più grandi, a cominciare dall’ultimo in classifica, il Ciad, preceduto da altri due Paesi africani: Etiopia e Angola. Il rapporto evidenzia che «Tutte le nazioni africane, tranne 4, occupano le ultime 30 posizioni a cui si aggiungono Laos, Bangladesh, Pakistan e India. In Guinea, Gambia, Ciad il cibo costa due volte e mezzo in più degli altri beni di consumo, facendo di questi i Paesi più cari dove acquistare prodotti alimentari. In Angola e Zimbabwe si registra la più alta volatilità dei prezzi. I Paesi in cui la popolazione affronta le maggiori difficoltà per accedere a una quantità di cibo sufficiente – con i peggiori indici di malnutrizione e di sottopeso infantile – sono Burundi, Yemen, Madagascar e India. Al contrario gli Stati Uniti, il Messico, le isole Fiji, il Kuwait e l’Arabia Saudita ottengono punteggi più bassi a causa dell’alto numero di individui con diabete o affetti da obesità».

Il  Good Enough to Eat Index  fa parte della campagna globale “Coltiva – il Cibo, la Vita il Pianeta” che ha l’obiettivo di informare i cittadini e sensibilizzare imprese e istituzioni sulle azioni necessarie per riformare un sistema mondiale di produzione e distribuzione alimentare iniquo che ancora oggi produce più di 800 milioni di affamati. Winnie Byanyima, direttrice di Oxfam International spiega che «Oxfam ha elaborato questo indice per evidenziare i problemi che si affrontano per nutrirsi in modo sano e adeguato nelle più diverse parti del mondo. Il Good Enough to Eat Index dimostra che, a livello globale, nonostante ci sia cibo a sufficienza per tutti, la possibilità di avere cibo salutare a sufficienza e a prezzi abbordabili non è così diffusa nel mondo. C’è ancora molto da fare per garantire che tutti siano in grado di mangiare in modo sano. Sono povertà e ineguaglianza a nutrire la fame. L’indice dimostra che si soffre la fame dove i governi non sono in grado di attuare politiche efficaci per ridistribuire le risorse, dove il mercato fallisce e le persone non hanno il denaro e le risorse necessarie per acquistare tutti i beni e servizi di cui hanno bisogno»

La Bacciotti conclude con una nota di speranza: «Crediamo che la fame non sia un fenomeno inevitabile e per questo lavoriamo in tutto il mondo con progetti di sostegno al reddito dei piccoli agricoltori, e soprattutto delle donne, con campagne mirate a cambiare le politiche di governi e imprese per produrre e consumare cibo in modo più equo e sostenibile, e interveniamo nelle emergenze cercando di assistere le persone colpite da siccità, carestie, conflitti e, allo stesso tempo, di risolvere le cause che hanno creato le emergenze».