Cooperazione sostenibile. Può il cambiamento passare attraverso le multinazionali del cibo? A tu per tu con Barilla

[28 Luglio 2014]

Non si può parlare di diritto al cibo e sovranità alimentare senza prendere in considerazione il ruolo dei grandi colossi multinazionali del cibo, che molto spesso sono causa più o meno diretta di disastri ambientali, sfruttamento lavorativo ed allontanamento dalle abitudini alimentari di intere popolazioni, in un’epoca in cui anche il cibo diventa veicolo di dominazione culturale e i piccoli produttori spariscono per lasciare spazio a gruppi privati.

Abbiamo intervistato Luca Virginio (Nella foto), Vice presidente Barilla Center for Food and Nutrition, già direttore del gruppo Comunicazione e Relazioni Esterne di Barilla, durante l’incontro “Feeding the planettroughdemocracy and diversity” del 14 Luglio. Greenwashing o reale volontà di cambiamento dell’attuale sistema alimentare? Per quanto il protocollo di Milano, documento che analizza problema della sostenibilità alimentare realizzato da una delle aziende italiane più conosciute al mondo, possa essere un esempio innovativo, lascia alcuni punti irrisolti, come ad esempio il ruolo di attori fondamentali nell’agricoltura dei paesi in via di sviluppo, quali donne e piccoli produttori. Tuttavia questa contaminazione tra profit e non profit rappresenta una possibilità per la società civile per ottenere più potere decisionale e non essere considerata solo un insieme di consumatori più esigenti.

Lei è uno dei pochi rappresentanti del settore privato presente all’incontro di oggi. Qual è l’interesse che spinge la Barilla e soprattutto il relativo istituto di ricerca ad essere un soggetto attivo in un settore come quello legato alla sovranità alimentare, al diritto al cibo?

«Il modo di operare di Barilla è sicuramente guidato dal profitto, ma con profondo imprinting sociale. Per noi tutto questo significa fare industria “dal campo alla tavola”, cioè non limitarsi a comprare le materie prime, trasformarle e distribuire il prodotto finito; significa invece che per ogni step della filiera alimentare, che è lunghissima, molto spesso e purtroppo, Barilla gioca un ruolo importante mettendo competenze, allocando risorse e responsabilità; è un modo di fare impresa che crede nel dialogo, nel dare soluzioni a problemi sociali, quali malnutrizione, obesità e accesso al cibo. Per noi non è solo una questione politica ma anche industriale. Il protocollo che oggi ho presentato non è solo per i politici ma anche per gli industriali, tant’ è vero che è già stato firmato da alcune industrie».

Quindi lei crede che l’azione di Barilla in questo senso è quella di spianare la strada anche per gli altri privati, a porre l’attenzione a questioni sociali?

«Certo, e lo dimostra il fatto che già cinque anni fa, il presidente Guido Barilla andando in uno del più grande complesso industriale che si tiene una volta all’anno, dove presiedono i più grandi industriali al mondo, ha avuto il coraggio di ribadire che il classico modello di fare business, di produrre ha i minuti contati. C’è bisogno di cambiare profondamente il nostro ruolo altrimenti tra quarant’anni, non ci saremo più, per due motivi: perché l’industria grande mangerà sempre quella più piccola e perché l’opinione pubblica diventa sempre più critica, più informata. Non c’è più il sistema di produzione all’interno del quale i consumatori scelgono tra le varie proposte sul mercato. Al contrario c’è un modello industriale che deve interagire con la società civile per risolvere i problemi del consumatore e di tutti noi. Comportandosi in questa maniera, non domani ovviamente, le industrie saranno anche premiate per queste attenzioni, dando a sé stessi legittimità e diritto ad esistere».

A proposito del Protocollo di Milano e delle prospettive future previste al suo interno, qual è il ruolo di alcuni attori, come le organizzazioni della società civile, i movimenti e i singoli che vivono direttamente problemi legati al diritto al cibo?

«La nostra speranza è quella che il più grande numero di organizzazioni della società civile ci “metta la faccia”, firmando e diffondendo il più possibile il protocollo; soprattutto presentando spunti e modifiche perché il protocollo è un documento ancora aperto a miglioramenti e vuole essere che analizza problema della sostenibilità alimentare trasversale».

Cospe per greenreport.it