Non a caso si parlava di Robinson Crusoe economy

In economia la razionalità assoluta è un’isola che non c’è

I protagonisti del paradigma ortodosso sono uomini-calcolatori senza interazioni sociali

[9 Dicembre 2013]

Una delle assunzioni più forti su cui il paradigma ortodosso in economia fonda i suoi modelli previsionali è quella della razionalità assoluta.

Il superuomo che emerge dalla formulazione analitica sottostante a tali modelli è un calcolatore. È una macchina perfetta in grado di valutare senza errori le informazioni a sua disposizione. Tali informazioni sono complete e totali, a significare, in altre parole, che questo individuo possiede la mappa corretta del mondo. Il processo di calcolo non produce, in media, errori sull’intera popolazione di riferimento e risponde a logiche di ottimizzazione per cui, in una qualunque funzione, si è sempre in grado di trovare un massimo assoluto e stabile sotto determinati vincoli.

Nel confrontare differenti possibilità, il Giove Olimpico in esame è in grado di valutare tutti i risultati di una data scelta ed essa soddisfa requisiti quali la transitività, la completezza, la continuità e la monotonicità. Per transitività s’intende la proprietà in base alla quale, se un individuo preferisce un’opzione A all’opzione B e un’opzione B all’opzione C, allora dovrà necessariamente anche preferire l’opzione A all’opzione C. La completezza invece richiede che un individuo possa ordinare le sue preferenze tra tutte le alternative disponibili. La continuità è quella proprietà secondo cui se un individuo preferisce un’opzione A ad un’opzione B, allora un’opzione sufficientemente vicina ad A continuerà ad essere preferita a B. La monotonicità, infine, può essere esemplificata con un riferimento al consumo: se 2 panieri A e B contengono la stessa quantità di un bene, ma A contiene una quantità maggiore dell’altro, allora A deve essere preferito a B in senso stretto.

Continuando con le caratteristiche dell’Übermensch neoclassico, le aspettative rispetto al futuro sono sempre corrette e il calcolo delle probabilità, riferito ad eventi incerti, non produce in media distorsioni.

Va chiarito, prima di proseguire, che questo individuo non esiste.

Il framework neoclassico, infatti, si è affermato cristallizzando il processo della scelta razionale e spogliandolo di un qualsivoglia contenuto psicologico e descrittivo, rispetto a cui prevale un’anima più che altro meccanica1, al servizio dei vincoli matematici di un procedere analitico.

L’interpretazione iper-semplificata delle teorie di Adam Smith, secondo cui l’autoregolazione dei mercati (la mano invisibile) garantisce, attraverso il perseguimento dell’interesse individuale dei membri di una collettività, il raggiungimento del massimo livello di ricchezza per la stessa, poggiava su un’idea di razionalità individuale assoluta, senza spazio alcuno per l’interazione. I modelli di Leon Walras, e non è un caso, utilizzavano come esempio classico quello di Robinson Crusoe.

La rivoluzione di Von Neumann e Morgenstern, padri della teoria dei giochi, aumenta la complessità dell’analisi, pur rimanendo nell’ambito di una logica massimizzante dell’individuo. “Lo studio della Crusoe economy e l’uso di metodi a essa applicabili è di valore molto più limitato di quanto sia stato finora creduto dai suoi più radicali critici. La ragione del suo limitato valore non sono le interazioni sociali…, ma piuttosto il limitato valore della Crusoe economy che deriva dalle differenze concettuali tra il semplice problema della massimizzazione fronteggiato da Crusoe e il ben più complesso problema che abbiamo descritto sopra” (in Theory of Games and Economic Behaviour, 1944), che sarebbe quello di un individuo che deve confrontarsi con la strategia massimizzante di un altro individuo, facente parte del suo medesimo contesto sociale.

È sostanzialmente il contributo dato alla teoria della scelta razionale anche da John Nash: l’equilibrio che prende il suo nome fa riferimento all’esito di un gioco in cui nessuno dei soggetti ha interesse a modificare la propria strategia, a meno che non venga modificata la struttura di incentivi associata ad essa.

Quest’idea di razionalità olimpica comincia a essere scardinata a metà del secolo XX°. Il merito degli studi pioneristici di Herbert Simon (1955), o di Jon Elster (1979), è quello di mettere in discussione, appunto, il concetto stesso di razionalità. Il cervello umano comincia a essere trattato per quello che è: un organo con precisi limiti di calcolo per quanto attiene alla capacità di elaborare informazioni. Le persone, nell’atto concreto di prendere una decisione, non rispondono a logiche ottimizzanti, ma seguono piuttosto euristiche.

Significativi sono, in tal senso, lo studio del gioco degli scacchi, con l’introduzione della razionalità satisficing; o il self-commitment emblematico di Ulisse che, di fronte alle sirene, si auto-limita conoscendo l’impossibilità di resistere razionalmente al loro canto. Su queste basi filosofiche, si innestano i primi esperimenti portati avanti da Maurice Allais nel 1952, con il paradosso che da lui prende il nome e che mette in discussione la teoria dell’utilità attesa. L’economista francese, durante un convegno a Parigi cui erano presenti i più brillanti ricercatori del tempo, tra cui lo stesso Morgenstern e Savage, sottopose ai partecipanti alcuni quesiti riguardanti lotterie dall’esito incerto. Il risultato importante fu che i rispondenti non mostravano consistenza nelle loro risposte, con una sistematica violazione dell’ipotesi d’indipendenza tra le possibilità presentate.

Per dirla grossolanamente, ma in modo comprensibile anche a un’audience meno tecnica, si trattava di un’embrionale evidenza del fatto che gli individui, contro le predizioni della teoria dell’utilità attesa, tendono a pesare diversamente eventi quasi certi ed eventi solo possibili, sottostimando probabilità vicine a uno e sovrastimando, invece, probabilità prossime a zero. Allais non riscosse immediatamente l’attenzione che avrebbe, invece, ottenuto nei decenni a venire.

La prima reazione della comunità scientifica fu anzi quella, piuttosto consuetudinaria, di creare una batteria d’ipotesi ad hoc per “aggiustare” il tiro dell’utilità attesa, salvaguardandone la validità di fondo.
Negli anni vi furono tentativi di costruire teorie alternative, quali la regret theory di Sugden (1993) o la weighted utility theory di Chew (1979), sempre, però, rimanendo nell’alveo dell’ortodossia. Ma il paradigma della razionalità neoclassica cominciava a essere scardinato alle sue fondamenta. 

1E newtoniana, con buona pace degli sviluppi che la stessa fisica ha avuto nel ventesimo secolo, da Einstein alle superstringhe 

Bibliografia
Allais, M. (1953), Le comportement de l’homme rationnel devant le risque: critique des postulats et axiomes de l’école Américaine, « Econometrica » 21, 503-546.

Chew, Soo Hong and Kenneth MacCrimmon (1979). “Alpha-nu Choice Theory: a Generalisation of Expected Utility Theory,” working paper 669, U. British Columbia

Elster J. (1979) Ulysses and the Sirens: Studies in Rationality and Irrationality.  Cambridge: Cambridge University Press

Morgenstern O. e Von Neumann J. (1944), Theory of Games and Economic Behaviour, Princeton University Press

Simon H. (1955), A behavioural model of rational choice, The Quarterly Journal of Economics, Vol. 69, No. 1., pp. 99-118

Sugden, Robert. (1993). An axiomatic foundation for regret theory,  Journal of Economic
Theory