«Molte delle crisi politiche sono crisi di fame e peggioreranno».

Jeffrey Sachs in Vaticano: «La proprietà privata va inserita nel contesto di una destinazione universale dei beni»

Anche la Chiesa abbandona il feticcio del Pil, la svolta sulle orme di Papa Francesco

[1 Luglio 2013]

Jeffrey Sachs, direttore dell’Earth Institute della Columbia University e consigliere per la povertà del segretario generale Onu Ban Ki Moon, ha partecipato in Vaticano al convegno “Povertà, beni pubblici e sviluppo sostenibile – Le sfide globali del nuovo millennio”, organizzato dall’Accademia internazionale per lo Sviluppo economico e sociale (Aises) e da Greenaccord alla Pontificia Accademia delle Scienze e si è scagliato contro paradisi fiscali, agricoltura intensiva, aziende inquinanti, mancanza di governance globale.

Era la prima volta che Sachs varcava le porte del Vaticano, ma si è subito mostrato in sintonia con la dottrina sociale della Chiesa, resa un po’ più concretamente credibile dalle recenti dichiarazioni ed iniziative di Papa Francesco.

Sachs, molto applaudito, ha fatto un’analisi impietosa dell’attuale sistema economico e di sviluppo. Come spiega Greenaccord, «Partendo dalle proteste di piazza che da ormai parecchi mesi stanno accomunando molte città e Stati nel mondo (dall’Egitto al Brasile, dalla Turchia alla Tunisia, dalla Spagna a New York), Sachs ha osservato come esse siano strettamente collegate con il tradimento delle aspettative delle future generazioni, con l’aumento delle disuguaglianze sociali, con un ecosistema sempre più degradato e con una governance mondiale in crisi».

L’economista statunitense ha spiegato che «Esse rispecchiano il senso di insicurezza, la crisi giovanile, la disoccupazione generalizzata, l’illegittimità della leadership di molti Paesi». Sachs ha ricordato le ragioni ambientali ignorate dietro guerre come quella del Mali: «La carenza di risorse idriche e la grave siccità sono cause non sufficientemente considerate per spiegare l’insorgenza del conflitto. Quelle che noi in Occidente leggiamo come crisi di estremismo e scontri di civiltà sono in realtà crisi di fame. E non potranno che peggiorare se non interveniamo a fondo sui fattori che le provocano».

Il direttore dell’Earth Institute  ha evidenziato i danni causati da un uso scriteriato delle risorse naturali: «L’agricoltura intensiva ha distrutto il ciclo dell’azoto. Stiamo compromettendo il ciclo idrico del pianeta. L’industria estrattiva continua a negare i drammatici effetti della CO2 che invece la scienza ha ormai provato senza ombra di dubbio. E quel che è peggio le nostre economie non hanno ancora iniziato a riconoscere i danni provocati. Allontanarsi dal baratro è però ancora possibile, in egual modo a quanto fu possibile fare nel 1963 scongiurare la crisi nucleare ad opera del presidente Usa John Fitzgerald Kennedy, che non sembrava meno infattibile».

Per eliminare la povertà estrema entro il 2030 l’Onu ha deciso di individuare nuovi Sustainable development goals che verranno discussi il 25 Settembre dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, e  Sachs ha anche ricordato la creazione del Sustainable development solutions network (Sdsn), «Per avere un brain storming mondiale utile a fissare soluzioni pratiche. Perché nessun governo, da solo, può affrontare con successo questa crisi,  una sfida complessa da aggredire anche a livello tecnico. Un aiuto decisivo può arrivare dalla riscoperta delle Dottrine sociali della Chiesa, che offrono indirizzi per un’etica universale».

Poi, dopo aver elogiato i pontefici a partire da Paolo VI, per le loro intuizioni e proposte, ha detto che «Lo sviluppo è il nuovo nome della pace. La proprietà privata va inserita nel contesto di una destinazione universale dei beni. Non si può essere enormemente ricchi e non c’è diritto a un reddito estremo. Dai propositi della dottrina sociale della Chiesa devono scaturire politiche che cambino il corso attuale delle scelte in economia e finanza: per eliminare la povertà estrema entro il 2030, bisogna costruire società socialmente inclusive, investire nell’uguaglianza di genere, garantire l’accesso ai servizi educativi e sanitari, eseguire una transizione verso economie a basse emissioni di CO2, realizzare un’agricoltura sostenibile».

Parole condivise da Andrea Masullo, economista e presidente del Comitato scientifico di Greenaccord, che ha chiesto ai presenti: «Che cosa è il benessere? Interrogativo solo apparentemente superfluo, perché da esso dipende la possibilità di costruire un modello economico e culturale nuovo e sostenibile. Finora siamo abituati a considerare il benessere in termini esclusivamente materiali, e lo misuriamo infatti in termini di reddito. Il benessere non dipende solo dalla disponibilità di capitale economico ma assai più dalla disponibilità di capitale naturale. Convinzione tutt’oggi minoritaria, soprattutto tra i decisori politici: oggi siamo molto più preoccupati dello stato del capitale economico che dallo stato del capitale naturale e umano. Le decisioni politiche sono dettate dall’andamento delle Borse e dei parametri finanziari. La politica risponde prioritariamente alle esigenze del mondo della finanza che a sua volta domina sui processi economici orientandoli all’accumulo di capitali piuttosto che alla valorizzazione del capitale umano».

La conseguenza di tutto questo, secondo Masullo è «Un’umanità smarrita e disumanizzata dagli imperativi del consumo. Desideri non spontanei ma indotti da promesse di felicità riposte nel possesso di sempre nuove cose. La povertà non è solo scarsità di capitale economico e naturale ma anche di capitale umano. Quale la soluzione a tutto questo? Un nuovo strumento di calcolo del benessere. Se la felicità deve essere il valore a cui deve tendere il capitale umano e quindi l’orientamento del processo economico in cui si muove il capitale finanziario, dobbiamo trovare una misura che metta in collegamento le tre forme di capitale (economico, naturale e umano)”. In pratica, un cambio di indicatore, dal Pil a nuovi indici, come l’Happy Planet Index realizzato anni fa dalla fondamento Nef (New Economics Foundation). Il primo decennio del XXI secolo ci ha fatto entrare in una più realistica prospettiva di dover fare i conti con un mondo finito e limitato. L’ultimo rapporto dal club di Roma prodotto da Jorgen Randers, sottolinea l’incapacità della politica di dare risposte operative. Agire solo per riparare i danni dopo che si sono verificati. Ma allora perché aspettare questo esito infausto, compromettendo il futuro di alcune generazioni e rendendo irreversibili alcuni dei più allarmanti danni ambientali e non agire da subito alla rifondazione del modello economico?».

L’incontro con Jeffrey Sachs è stato aperto con un’altra domanda dal presidente del Pontificio consiglio per i Testi legislativi, Francesco Coccopalmerio: «È un mondo più giusto e più equo quello che si dimentica di una larga parte dell’umanità ed è incapace di un uso razionale e sostenibile delle risorse, di una migliore distribuzione dei beni della terra, di prendere decisioni lungimiranti per arginare gli effetti del cambiamento climatico che produce effetti devastanti proprio sui territori più a rischio povertà?».

La risposta di Coccopalmerio è stata altrettanto critica b verso lo status quo: «La povertà è una delle grandi sfide del nuovo millennio. Tante belle aspirazioni, tanti programmi, tanti impegni formali da parte di organizzazioni mondiali e nazioni, sono rimasti solo aspirazioni a cui tendere e la povertà, complice anche la crisi economica, aumenta e pone a tutti noi degli interrogativi di tipo sociale, di tipo economico, di giustizia e, non ultimo di carattere morale. Un tema universale che si intreccia con altri temi interdipendenti: la cura dell’ambiente, la sostenibilità urbana, la sostenibilità energetica, la crescita economica che dev’essere guidata da criteri nuovi, il consumo di suolo che vede tanti edifici vuoti e inutilizzati a fronte di tante nuove costruzioni spesso realizzate in aree a rischio. La speranza è che il Pontificato di Papa Francesco sia in questo senso un aiuto per affrontare con passione, costanza e partecipazione il tema della povertà. Egli è convinto che sia una sfida anche per la Chiesa stessa. Sobrietà e capacità di ascolto delle esigenze dei meno fortunati devono essere le linee guida del comportamento dei cristiani».

Per Valerio De Luca, presidente dell’Aises «La lotta alla povertà si vince coniugando scienza e Umanesimo. Bisogna combattere la povertà spirituale di ristretti gruppi degli Stati potenti, dove dominano egoismo, avidità, logica di potere e sete di profitto».

L’appello che De Luca ha rivolto dal convegno è quello di «Coniugare la competenza tecnica e specialistica del “know how” con l’educazione del “know why”, per meglio comprendere il perché e il senso di ogni azione, decisione e risultato. Le questioni globali che agitano il mondo economico e il lavoro lo scandalo della povertà e della fame, che allunga la sua ombra anche in Europa, le istanze acute dei problemi demografici e l’invecchiamento delle società opulente, la crisi della politica e il collasso dei valori etici, richiedono di porre al centro un nuovo metodo di formazione delle classi dirigenti, secondo una visione olistica dei problemi e delle soluzioni, dove l’economia, la politica, la società, vanno viste come un tutto unitario, per formare personalità integrali e capaci di cogliere sfide del nuovo millennio. Un nuovo approccio allo sviluppo che deve partire da un nuovo uso dello strumento della finanza, pubblica e privata, che non è uno strumento intrinsecamente etico, ma è neutro rispetto a quelle finalità etiche che solo l’uomo è chiamato a decidere nei diversi ambiti dell’agire economico, politico e sociale, ove si sviluppa la sua personalità».

Il presidente dell’Aises  ha ricordato  quanto detto il 20 Giugno da poApa Francesco all’incontro con la dirigenza della Fao sull’obiettivo di riportare la persona umana e la sua dignità al centro dello sviluppo di popoli e nazioni: «In tale direzione, è necessario contrastare i miopi interessi economici e le logiche di potere di pochi che escludono la maggioranza della popolazione mondiale e generano povertà ed emarginazione, con effetti disgregatori sulla società, così come è necessario combattere quella corruzione che produce privilegi per alcuni e ingiustizie per molti».

Per Deluca l’appello di Papa Bergoglio denuncia «La povertà spirituale di ristretti gruppi dove dominano l’egoismo, l’avidità, la logica di potere e la sete di profitto, che minano alle fondamenta la crescita inclusiva e lo sviluppo sostenibile di popoli e nazioni».