I novant’anni di Giorgio Nebbia, mezzo secolo del miglior ambientalismo italiano

Raccontare l’ambiente, alimentare conflitti, stimolare progetti: domani in Senato l’omaggio a una figura ormai iconica

[9 Maggio 2016]

Domani martedì 10 maggio, a Roma, al Senato, un numeroso e variegato drappello di militanti, studiosi, politici e tecnici festeggerà i novant’anni di Giorgio Nebbia (nella foto) raccontando i loro rapporti con lui ma soprattutto raccontando se stessi, il modo in cui il proprio rapporto con l’ambiente e con l’ambientalismo è stato influenzato dalla sua presenza, dal suo operato e dalla sua scrittura. Si tratterà di un’occasione per fare un bilancio di una militanza che ha ormai mezzo secolo, che ha avuto un notevole peso sull’ambientalismo italiano, che presenta caratteri molto peculiari e che prosegue ancor oggi mediante un’attività di stimolo culturale di invidiabile vitalità.

Nebbia, la cui vicenda è stata recentemente ricostruita in una lunga intervista ora in rete, è entrato per una serie di circostanze particolarmente fortunate nell’università laureandosi in chimica nell’immediato dopoguerra e specializzandosi quindi in una sotto-disciplina particolare come la merceologia sotto la guida di un professore, Walter Ciusa, che aveva sviluppato un insegnamento e una ricerca basato non tanto sui caratteri delle merci in sé quanto piuttosto su un’ambiziosa ricostruzione dei processi produttivi. Interessato sin da bambino alle invenzioni e da cristiano di sinistra molto attento a un uso socialmente appropriato delle tecnologie, Nebbia si è rivolto sin dai primi anni Cinquanta a due pratiche accademicamente “disdicevoli” ma che avrebbero poi determinato molte delle sue scelte successive: la popolarizzazione delle conoscenze scientifiche e tecniche e la costruzione di impianti solari di potabilizzazione dell’acqua.

È da questo tipo di interessi, oltre che da una serie di stimoli culturali più complessi come la lettura di Lewis Mumford, di Marx, di Volterra e D’Ancona, che a partire dall’inizio degli anni Sessanta emerge il Nebbia che conosciamo ancor oggi: da un lato il militante ambientalista a tutto tondo, iscritto dapprima a Italia Nostra, poi subito – dal 1966 – iscritto al Wwf Italia, poi partecipe di una miriade di avventure culturali e politiche tra cui spiccano la Pontificia Commissione Iustitia et Pax, il Club di Roma e due mandati parlamentari, e dall’altro il giornalista autore di quasi quattromila articoli e saggi di argomento ambientale su quotidiani come “Il Giorno”, “Il Corriere della Sera”, “il manifesto”, “l’Unità”, “Il Messaggero”, “La Gazzetta del Mezzogiorno” (con cui collabora ininterrottamente dal 1960) e su decine di riviste, oggi anche on line come “eddyburg” e lo stesso “Greenreport”.

Nebbia ha portato nell’ambientalismo italiano con uno stile sempre chiaro, rotondo e accattivante ma anche con una radicalità non incline a compromessi, uno sguardo sull’ambiente focalizzato sul modo in cui le società trasformano la natura, cioè sulle tecnologie, su ciò che le tecnologie producono – cioè le merci – e sulle conseguenze delle scelte tecnologiche e della vita delle merci sui cicli ecologici. Questo suo sguardo si è arricchito via via dei contributi della grande ecologia degli anni Trenta, degli scritti di Marx, della grande opera di Lewis Mumford e si intrecciato con le elaborazioni del Concilio Vaticano II sullo sviluppo, con le analisi di Barry Commoner e di Nicholas Georgescu-Roegen, con il lavoro di previsione del Club  di Roma e con molti altri tasselli teorici o tecnici, verso il quale Nebbia ha mostrato sempre una grande curiosità. Nebbia ha così (“raccontando sempre la stessa storia”, come lui stesso afferma) favorito una consapevolezza teorica che è stata essenziale nell’orientare in senso tecnico-scientifico il movimento ambientalista italiano, tenendolo oltretutto aggiornato con molto di quanto avveniva all’estero.

Ma c’è un altro aspetto del tenace “raccontare sempre la stessa storia” di Nebbia che colpisce, soprattutto se si guarda ai suoi molti scritti a carattere storico: una consapevole e tenace fedeltà al più ispirato progressismo novecentesco. Nel suo raccontare ritornano infatti, in modo programmatico e sistematico, temi ed eventi che hanno fatto parte del bagaglio della migliore tradizione socialcomunista, cristiana e liberalsocialista mondiale del dopoguerra come ad esempio il New Deal, i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki e il successivo movimento per la pace e il disarmo, il grande rivolgimento culturale del Concilio Vaticano II, i grandi movimenti degli anni Sessanta e Settanta, la proposta dell’austerità di Enrico Berlinguer.

Tutti eventi e temi che hanno rappresentato la speranza e la promessa di un altro mondo possibile e che oggi appaiono a gran parte delle persone, spesso anche di sinistra, privi di risonanza quando non addirittura di significato proprio perché si è smarrita la tensione verso quella speranza e verso quella promessa. Giorgio Nebbia continua al contrario a raccontarli, quei temi e quegli eventi, con una convinzione e con una freschezza che costringono ogni volta a riflettere.

Questo, direi, è il miglior regalo che continua a farci e per il quale – appunto – rimaniamo costantemente in debito con lui.