Studio Usa: possono produrre biofilm sui quali si sviluppano nuovi elementi dannosi

Batteri sempre più resistenti agli antibiotici. Nell’Ue allarme polli infetti

Rapporto Efsa e Ecdc: la resistenza agli antimicrobici aumenta negli animali e negli esseri umani

[27 Febbraio 2015]

L’European food safety authority (Efsa) e l’European centre for disease prevention and control (Ecdc) monitorano la resistenza agli antimicrobici (AMR) negli esseri umani, animali e alimenti per capire come la resistenza si sviluppa e si diffonde. La Commissione europea, nel suo piano d’azione 2011 contro le minacce crescenti da AMR, la resistenza di un batterio a un farmaco antimicrobico a cui era in precedenza sensibile. I batteri sono multi-resistenti se risultano resistenti ad almeno tre diverse classi di antibiotici.

Efsa ed Ecdc hanno presentato la loro Relazione sintetica sulla resistenza agli antimicrobici in batteri zoonotici e indicatori provenienti da esseri umani, animali e alimenti nell’Unione europea, nel 2013,  dallla quale emerge che «Le possibilità di trattare alcune delle più comuni infezioni veicolate da alimenti si stanno riducendo, in quanto alcuni tipi di batteri (detti “isolati”) continuano a presentare resistenza ai farmaci antimicrobici». Nel documento per co-resistenza si intende la contemporanea resistenza a due specifici antimicrobici di importanza primaria. Il rapporto include anche dati sulla resistenza nel batterio indicatore Escherichia coli, negli enterococchi indicatori e nello Staphylococcus aureus meticillino-resistente, in animali e alimenti.

Efsa ed  Ecdc fanno l’esempio degli isolati multiresistenti – cioè esistenti contemporaneamente a più antibiotici – di Salmonella che continuano a diffondersi in tutta Europa e aggiunge: «Inoltre, in alcuni Stati membri, è stata segnalata un’elevata resistenza all’antimicrobico ciprofloxacina in isolati di Campylobacter, sia in esseri umani sia in animali». Ma c’è una cosa incoraggiante: «La co-resistenza ad antimicrobici di importanza primaria per entrambi i batteri resta bassa». 

Marta Hugas, responsabile facente funzione del dipartimento Valutazione del rischio e assistenza scientifica dell’Efsa spiega che «Per la prima volta Efsa ed Ecdc hanno utilizzato criteri analoghi per interpretare i dati. “I risultati sulla resistenza agli antimicrobici in esseri umani, animali e alimenti sono ora meglio confrontabili. E questo è un passo avanti nella lotta contro la resistenza agli antimicrobici».

Ma Mike Catchpole, esperto scientifico capo all’Ecdc, lancia un preoccupante allarme: «Gli elevati livelli di resistenza ai fluorochinoloni osservati in isolati di Campylobacter sia da esseri umani sia da polli da carne sono motivo di preoccupazione, visto che una gran parte delle infezioni umane da Campylobacter trae origine dalla manipolazione, dalla preparazione e dal consumo di carne di pollo. Tali elevati livelli di resistenza riducono le opzioni possibili per trattare efficacemente le infezioni umane gravi da Campylobacter».

Le principali conclusioni alle quali giunge la relazione sintetica Efsa – Ecdc  non lasciano tranquilli : «La resistenza  in Salmonella ad antimicrobici di uso comune è stata rilevata di frequente in esseri umani e animali (soprattutto in polli da carne e tacchini) e nei prodotti a base di carne da essi derivati. La multiresistenza si è rivelata elevata (negli esseri umani 31,8%, nei polli da carne 56,0%, nei tacchini 73,0%, e nei suini da ingrasso 37,9%), e la persistente diffusione di cloni particolarmente multiresistenti riferiti in isolati sia da esseri umani sia da animali (polli, suini e bestiame) costituisce motivo di preoccupazione. è stato rilevata di frequente in esseri umani e animali (soprattutto polli da carne, suini e bovini). Negli alimenti la resistenza è stata rilevata nella carne di pollo. La resistenza alla ciprofloxacina, un antimicrobico di importanza primaria, si è rivelata particolarmente elevata negli esseri umani (il che implica che le opzioni di trattamento per infezioni gravi da tali batteri zoonotici siano ridotte). In Campylobacter jejuni oltre la metà degli isolati sia umani sia da pollo (54,6% e 54,5% rispettivamente) si sono rivelati resistenti, insieme al 35,8% nei bovini. In Campylobacter coli due terzi degli isolati da esseri umani e da polli (rispettivamente il 66,6% e il 68,8%) si sono rivelati resistenti, assieme al 31,1% di isolati da suini».

Per quanto riguarda i livelli di co-resistenza ad antimicrobici di importanza primaria: «In Salmonella si sono rivelati bassi (lo 0,2% negli esseri umani, lo 0,3%, nei polli da carne, assenti invece in suini da ingrasso e tacchini). I livelli di multiresistenza e co-resistenza ad antimicrobici di importanza primaria in isolati di Campylobacter sono stati generalmente segnalati da bassi a moderati negli animali (in isolati di C. jejuni da polli da carne e bovini rispettivamente lo 0,5% e l’1,1%; in isolati di C. coli da polli da carne e suini da ingrasso rispettivamente lo 12,3% e il 19,5%,) e a livelli bassi in esseri umani (1.7% inC. jejuni ed il 4.1% in C. coli)».

Quindi il Campylobacter, che è presente in molti polli, sta diventando resistente ai farmaci e questo riduce le opzioni per il trattamento delle infezioni umane. Cosa che tra l’atro viene confermata da un rapporto separato della Food Standards Agency britannica che ha confermato livelli elevati di Campylobacter nei polli Regno Unito, che sono la principale causa di intossicazione alimentare in Gran Bretagna, interessando ciirca 280.000 persone all’anno.La Food Standards Agency dice che «La maggior parte dei polli venduti nei negozi del  Regno Unito sono contaminati con i batteri» e che secondo i campioni prelevati tra febbraio e novembre 2014 «Il 73% dei polli sono risultati positivi alla presenza di Campylobacter».

Chris Elliott, Chris Elliott, direttore dell’Institute for Global Food Security alla Queen’s University Belfast, conclude: «Questo non è sorprendente in quanto affrontare questo grave problema richiede una serie di cambiamenti da attuare a livello di settore. La nostra responsabilità, come consumatori, è quella di assicurarci che conserviamo, prepariamo e cuciniamo il pollo correttamente ed un’altra parte estremamente importante sarà il modo in cui avremo a che fare collettivamente con una questione molto difficile».

Se a questo si aggiunge lo studio di un team delle università statunitensi del North Carolina –  Chapel Hill e di San Diego – La Jolla, pubblicato il 23 febbraio su Proceedings of the National Academy of Sciences, dal quale viene fuori che gli antibiotici possono stimolare la formazione di biofilm sui quali si sviluppano nuove comunità di altri batteri dannosi, allora il quadro diventa davvero preoccupante.

La principale autrice dello studio, Elizabeth Shank della Eshelman School of Pharmacy dell’università del North Carolina, conclude: «Questo suggerisce che gli antibiotici possono indipendentemente e contemporaneamente indurre la formazione di biofilm potenzialmente pericolosi in altri batteri e che tali attività possono agire attraverso specifici signaling pathways. È genera ulteriore discussione sull’evoluzione dell’attività antibiotica e sul fatto che alcuni antibiotici utilizzati terapeuticamente possono indurre la formazione di biofilm in modo forte e specifico, il che ha vaste implicazioni per la salute umana».