Come disuguaglianza e demografia stanno cambiando i consumi italiani

Entro il 2065 il carrello della spesa si sgonfierà di 130 miliardi di euro, un «cambiamento al quale non sarà facile prepararsi». Per farlo occorre investire nei giovani, adesso

[8 Settembre 2017]

L’appena pubblicato Rapporto Coop 2017 rappresenta una vera e propria miniera di dati, utilissima per fare il punto sull’evoluzione dell’Italia attraverso lo specchio dei suoi consumi (e non solo). La fotografia scattata dall’Ufficio studi di Coop è quella di un Paese che, dopo dieci anni di crisi, si scopre stanco di essere infelice e cerca la sua via di fuga in un rinnovato carrello della spesa.

Non che gli italiani abbiano d’improvviso serenità d’animo. Dal 2008 al 2017 la soddisfazione per la propria vita – in una scala da 0 a 10 – è anzi crollata in media da 7,2 a 5,3, un punteggio sotto la sufficienza e più basso rispetto a quelli registrati in Francia, Spagna, Germania o Regno Unito; a salire sono state in compenso insicurezza e paure, legate sì alle condizioni economiche (in dieci anni i poveri assoluti sono raddoppiati a 4,6 milioni di individui, con il 28,7% della popolazione a rischio povertà o esclusione sociale), ma sempre più anche a inquinamento (+53% delle ricerche su Google dal 2012) e immigrati (+107%), che hanno probabilmente aumentato la propensione degli italiani ai consumi di antidepressivi (+18% in dieci anni, con picchi in Liguria e Toscana).

È in questo scenario che si inseriscono i dati della mini-ripresa in corso: «Il Pil fa registrare un +1,5% nel 2017 e un +1,2% atteso nel 2018  considerato tutto sommato un risultato incoraggiante seppur lontano dal 2,1% dell’area euro, e i consumi continuano il loro trend positivo (l’anno in corso si chiuderà con un + 1,2%) a patto però di una diminuzione del tasso di risparmio e del nuovo incremento dei prestiti». La felicità, in comode rate.

In quest’Italia alla ricerca di una nuova identità non cambia però solo la quantità ma anche la qualità dei consumi. Il Rapporto Coop 2017 ci descrive come «ossessionati dalla salute e dalla rincorsa al benessere», diretti verso «nuove forme più soft di spiritualità nella vita quotidiana (buddismo, yoga, vegan)» e, «a partire dai più ricchi», sempre «meno interessati al consumo ostentato e ipertrofico» ma interessati a «investimenti oculati e fruizione di nuove esperienze».

In primis i viaggi, dunque: pur di partire «il 76% degli italiani farebbe economia su pranzi e cene al ristorante, il 74% sulle pratiche sportive, il 68% sull’abbigliamento», mentre il 33% circa si dichiara pronto ai consumi alimentari. Consumi che nel mentre sono sempre più biologici (una passione per il 40% dei consumatori, primi in Europa) e “prodotti senza”, che si tratti di lattosio, glutine, olio di palma o zuccheri aggiunti.

Come questa (ri)composizione dei consumi nazionali si rifletta sull’altra faccia della medaglia, ovvero quella dei rifiuti prodotti, è ancora presto per dirlo; l’Ispra da una parte certifica un modesto calo dei rifiuti urbani (-0,4%) e dall’altra sottolinea un ben più robusto incremento dei rifiuti speciali (+2,4%), ma gli ultimi dati disponibili si fermano al 2015.

Per provare a districarsi in questa fase di profonda incertezza è più utile fermare lo sguardo sull’orizzonte. In questo caso, a emergere dal Rapporto Coop sono due dinamiche profonde, già in atto e che si intrecciano profondamente tra loro: quelle relative alla disuguaglianza, e quelle demografiche.

Oggi le famiglie italiane dichiarano in media un reddito netto da 30.500 euro/anno insieme a una ricchezza netta da 218mila euro (con il 35,4% della popolazione maggiorenne indebitata); numeri che pesano però in modo assai squilibrato nelle tasche degli italiani, tanto che secondo il Rapporto Coop «il vero tema resto quello delle disuguaglianze». L’1% delle famiglie possiede già un quinto di tutta la ricchezza (una dimensione che, senza interventi, crescerà ancora nei prossimi cinque anni), mentre «l’indice di Gini, che sintetizza l’entità delle disuguaglianze, colloca l’Italia tra i Paesi con i maggiori divari». Una frattura che sta divenendo sempre più di tipo generazionale.

Nelle famiglie dove la persona di riferimento è un millennials il reddito è del 30% inferiore (-11mila euro l’anno) rispetto a quelle dove il capofamiglia ha dai 55 ai 64 anni, e le cose vanno ancora peggio passando dal reddito alla ricchezza: in media, quella in disponibilità delle famiglie giovani ammonta ad appena 18mila euro, contro i 180mila euro (dieci volte tanto) di patrimonio presenti in quelle più anziane.

Non è un caso dunque che i dati più recenti mostrino «come l’età di uscita dal nucleo di origine sia salita attorno ai 30 anni nel nostro Paese», con un «rovesciamento degli schemi tradizionali: la lunga recessione, colpendo in misura più accentuata i nuovi entranti nel mercato del lavoro, ha prodotto un congelamento delle scelte di emancipazione e di formazione di una nuova famiglia».

Anche per questo l’Italia sta diventando un Paese sempre più anziano. Entro il 2065 «uomini e donne arriveranno a vivere rispettivamente sino a 86,1 anni e fino a 90,2 anni, circa 6 anni in più in confronto ad oggi», ma l’Italia sarà sempre più vuota, nonostante un’immigrazione della quale abbiamo incomprensibilmente paura a prescindere. «La popolazione residente è attesa decrescere dai 60,7 milioni di abitanti attuali a 58,6 milioni entro il 2045 per poi ripiegare ulteriormente sino ai 53,7 milioni del 2065, con una perdita complessiva di 7 milioni di persone (-11,5% rispetto ai valori odierni)», tornando così alla popolazione italiana presente agli inizi degli anni Settanta.

«L’impatto sulla domanda interna sarebbe ingente – evidenzia il Rapporto Coop – Un monte atteso di minori consumi pari a 130 miliardi di euro ai prezzi attuali (-12,7%), l’equivalente della spesa annuale dell’intero Paese per alberghi e ristoranti e poco meno di tutti i consumi alimentari. Un cambiamento al quale non sarà facile prepararsi».

L’unica risposta sensata per coniugare la sostenibilità ambientale (verso la quale forse ci sta già conducendo la demografia, tagliando in modo robusto i consumi italiani) con quella sociale ed economica appare quella dell’adozione «di un vero e proprio “Piano Marshall” sociale» adesso, prima che sia tardi, dando respiro alle giovani generazioni e dunque una prospettiva al Paese. Già oggi i millennials mostrano un’elevata propensione a cambiare i propri consumi per tutelare l’ambiente, ma senza le risorse per poterlo fare il cambiamento rimarrà solo un’amara illusione, per tutti.