Riciclare i vestiti, soluzione per la mancanza di risorse?

Presto scarseggeranno il cotone ed altre risorse. «E’ il futuro: i produttori responsabili dei loro rifiuti».

[28 Agosto 2015]

Hennes & Mauritz H&M) un gigante mondiale della distribuzione di abbigliamento, ha lanciato una nuova iniziativa per promuovere il riciclo dei vestiti e per tentare di ridurre il suo impatto ambientale, fare un po’ di greenwashing (anche etico) e soprattutto rispondere alla crescente carenza di materie prime.  Dal 2006 H&M ha più che raddoppiato i suoi guadagni, arrivando a 18 miliardi di dollari nel 2014, una cifra che ne fa il secondo distributore di abbigliamento mondiale dopo la spagnola Inditex.

Un’iniziativa che arriva mentre aumentano le critiche e le proteste per i danni creati da una cultura dello spreco e del saccheggio causata dagli abiti a buon mercato, sfornati in Paesi come il Bangladesh, la Cambogia  il Vietnam e che hanno invaso i mercati di tutto il mondo, anche quelli dove fino a pochi anni fa una semplice t-shirt era un lusso.

Karl-Johan Erling Göran Persson, il miliardario svedese presidente di H&M, ha detto che «Nessuna compagnia, che sia di moda o no, può continuare esattamente come oggi. Il più gran potenziale per i prezzi risiede nella scoperta di nuove tecnologie che faranno in modo che possiamo riciclare le fibre senza cambiarne la qualità». Sembra proprio la riproposizione aggiornata dell’industria degli stracci pratese e forse a Persson una visita in Toscana non farebbe male, anche per imparare pregi e difetti di un modello in crisi.

Ma la ragione vera della svolta è che, mentre la popolazione mondiale aumenta insieme alla richiesta di vestiario, tutte le previsioni dicono che il cotone presto scarseggerà, anche perché richiede sempre più acqua e pesticidi.

H&M e gli altri grandi distributori di abbigliamento sono preoccupati perché con gli attuali metodi di riciclaggio del cotone  si ottengono fibre di cattiva qualità e non ci sono tecnologie efficaci per riciclare tessuti misti, quindi la grande maggioranza degli abiti usati va a finire in discarica.

Attualmente solo il 20% del cotone riciclato può essere utilizzato per produrre un nuovo paio di jeans, perché la lunghezza delle fibre si accorcia nel processo di triturazione, compromettendo la qualità del tessuto.

H&M ha fatto un accordo con la multinazionale dell’abbigliamento sportivo Puma per sostenere insieme la start-up Worn Again che sta sviluppando una tecnologia che permette di separare ed estrarre le diverse fibre da abiti composti con diversi materiali.

Johan Rockstrom, che insegna scienze ambientali all’università di Stoccolma e fa parte della giuria del Prix H&M, è convinto che «L’industria della moda ha bisogno di trovare dei nuovi modelli commerciali per rispondere alla penuria mondiale di risorse. Per H&M, il cui obiettivo è quello di vendere dei vestiti a buon mercato e di buona qualità, è una grande sfida. Il fatto che siano a buon mercato significa che c’è il rischio che la gente li acquisti e li getti o che ne acquisti troppi».

Altre compagni stanno cercando soluzioni a questo problema: la tedesca Mud Jeans “affitta” i suoi vestiti ai consumatori e poi si offre di sostituirli ogni anno, riparando e rivendendo i capi usati o riciclandone i tessuti. Secondo Bert van Son, direttore esecutivo di Mud Jeans, «E’ il futuro: i produttori responsabili dei loro rifiuti. La nostra compagnia può farlo perché siamo relativamente piccoli: è per questo che possiamo fare questo tipo di cose perché possiamo usare cotone puro. Se sei una grossa catena, se mischi il cotone e il poliestere, è molto complicato».