Il 90,9% dell’economia mondiale non è circolare

Delle 92,8 gigatonnellate delle risorse che divoriamo ogni anno, appena 8,4 derivano da recupero

[25 Gennaio 2018]

L’estrazione di risorse naturali che alimenta economia e società umane è cresciuta a dismisura negli ultimi decenni, e minaccia di gonfiarsi ancor di più in quelli che ci attendono. Dalle 26,7 miliardi di tonnellate di risorse naturali estratte nel 1970 siamo rapidamente passati alle 84,4 del 2015, e – se non cambieremo con decisione la strada finora imboccata – nel 2050 potremmo arrivare all’insostenibile quota di 184 miliardi di tonnellate. Un’alternativa esiste, e ne parliamo oggi come di una economia circolare: ovvero un’economia che sappia preservare il più a lungo possibile nel tempo il valore delle risorse estratte dalla natura per soddisfare i nostri bisogni, reinserendole all’interno dei cicli produttivi.

Il problema è che quest’orizzonte è ancora tremendamente lontano dal dirsi conquistato. Secondo il documento The circularity gap report presentato al World economi forum a Davos, delle 92,8 gigatonnellate delle risorse che alimentano oggi l’economia mondiale, appena 8,4 derivano da processi di riciclo, mentre le restanti 84,4 sono risorse vergini. Che in larghissima maggioranza non sapremo – ad oggi – recuperare: come mostrano i dati appena riportati, appena il 9,1% della nostra economia può dirsi “circolare”, mentre rimanente 90,9% dei nostri processi di estrazione-produzione-consumo-smaltimento rimane al di fuori dall’invocata circolarità.

«Il valore di una metrica globale della circolarità risiede nel poter tracciare i cambiamenti nel tempo e misurare i progressi, nel mettere le principali tendenze nel contesto, impegnarsi – argomenta Marc de Wit, primo autore dello studio – in un obiettivo comune e guidare l’azione futura nel modo più efficace. Per capire come passare a un’economia circolare a livello globale, dobbiamo capire cosa non è circolare nella nostra economia di oggi». Ovvero, quasi tutto: uno spreco sotto ogni punto di vista.

Il rapporto presentato a Davos conferma infatti le stime finora fornite dall’Onu, che vedono nell’economia circolare non solo un mezzo per ridurre del 28% l’uso globale delle risorse, ma anche per tagliare al contempo le emissioni di gas serra del 72% e di promuovere un utilizzo più equo dei materiali che madre Natura ha offerto (anche) al genere umano. «Chiudere il gap di circolarità – confermano gli autori del rapporto – ridurrà le disuguaglianze di reddito, migliorando l’accesso a beni di base e opportunità. In altre parole, perseguire l’economia circolare è la via per creare un’economia che funzioni per tutti».

A Davos sono quattro i punti cardinali suggeriti per raggiungere l’obiettivo: costruire una coalizione mondiale per l’azione, composta da imprese, governi, Ong e accademici, che produca un rapporto annuale sullo stato dell’economia globale e ne misuri i progressi in merito alla circolarità; sviluppare un obiettivo globale e un’agenda di azione collaborando con le parti interessate, in linea con gli obiettivi Onu per lo sviluppo sostenibile al 2030 (Sdgs) e quelli di riduzione delle emissioni climalternati; tradurre gli obiettivi globali in percorsi locali per il cambiamento circolare, lavorando a livello di stati nazionali, di singoli settori e catene di approvvigionamento, di regioni e città, integrando i vari livelli; migliorare la nostra comprensione di come differenti leve per il cambiamento circolare influenzino aspetti come il risparmio di materiale, la conservazione del valore e la mitigazione del clima, considerando appieno le dinamiche del commercio internazionale e dell’occupazione, oltre ai legami con l’istruzione e la formazione, sia per i giovani di oggi sia per le prossime generazioni.

Difficile, come si vede, tradurre tutto quanto in un concreto programma di governo, anche se è indispensabile – soprattutto in Paesi con scadenze elettorali alle porte, come il nostro – provarci. A partire dall’umiltà di capire quanto ancora – nonostante tutto – non conosciamo sul metabolismo economico italiano, dalla volontà di superare in primis un modello di consumo basato sullo spreco, e dalla razionalità necessaria per comprendere come sia impossibile (culturalmente quanto tecnicamente) un salto subitaneo dall’attuale 90,9% di “economia lineare” al 100% di “economia circolare”. Anche dallo stesso riciclo, come ormai dovrebbe essere noto, derivano altri (tanti) rifiuti che è necessario saper gestire. E con i quali avremo la responsabilità di avere a che fare per molto, molto tempo ancora: non saranno i convegni sull’economia circolare a bloccare l’entropia che governa l’universo.