Cala l’inquinamento atmosferico in Italia, ma provoca ancora 84.300 morti l’anno

Ispra: «Nel quadro europeo, l’Italia con il bacino padano, rappresenta ancora una delle aree dove l’inquinamento atmosferico è più rilevante»

[27 Marzo 2019]

L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) aggiorna la situazione dell’inquinamento atmosferico nel nostro Paese attraverso il nuovo studio Analisi dei trend dei principali inquinanti atmosferici in Italia 2008-2017, che indaga la presenza nell’aria di una o più sostanze in concentrazione tale da avere la potenzialità di produrre un effetto avverso: «Nel periodo analizzato si rileva una larga prevalenza di casi in cui le concentrazioni di PM10, PM2,5 e NO2 diminuiscono – afferma l’Ispra – È confermata invece la mancata riduzione nei valori medi delle concentrazioni dell’ozono». In particolare, per il PM10 il trend è decrescente nel 77% delle stazioni di monitoraggio analizzate, per il PM2,5 nel 69% e per l’NO2 nel 79%, mentre «nessun segno di diminuzione» è stato registrato per i valori medi dell’ozono, che «rimangono stabili negli anni». Ciò non toglie che per tutti gli inquinanti analizzati la situazione rimanga critica, dato che «lo studio mostra chiaramente come in diverse parti d’Italia si superino ancora i valori limite per il materiale particolato, il biossido di azoto, l’ozono troposferico».

Delineando un quadro di più ampia prospettiva è giusto osservare che in «Europa, Nord America, Giappone e Australia è stato registrato negli ultimi 25 anni un disaccoppiamento tra la crescita economica e le emissioni dei principali inquinanti, dovuto alle azioni messe in campo per ridurre l’inquinamento atmosferico», ma ancora oggi «in larga parte del territorio dell’Unione non sono ancora rispettati i valori limite e i valori obiettivo previsti dalle direttive europee per il PM10, il PM2,5, il biossido di azoto, il benzo(a)pirene e l’ozono». Sforamenti che è utile contestualizzare in termini di impatto sulla salute: «È stato stimato che l’esposizione a lungo termine al materiale particolato, al biossido di azoto e all’ozono sia responsabile rispettivamente di 422.000, 79.000 e 17.700 morti premature all’anno in Europa (EEA, 2018)».

L’Ispra al proposito non dettaglia i dati italiani, che sono però disponibili all’interno dello stesso studio citato – ovvero l’Air quality in Europe 2018, pubblicato recentemente dall’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) –, che testimonia un triste record per il nostro Paese: in un solo anno (2015) in Italia le concentrazioni di PM2,5 sono state responsabili di 60.600 morti premature, quelle di NO2 di altre 20.500 e quelle di O3 3.200 ancora, per un totale di 84.300 morti. Nessuno ha registrato un dato peggiore in Europa in termini assoluti, né la Polonia delle centrali a carbone (47.500 morti premature) né i Paesi più popolosi del nostro come Germania (78.400), Francia (47.300) e Regno Unito (41.490).

In molte zone del nostro Paese – conferma l’Ispra – si continuano a superare i limiti: «Lo studio mostra chiaramente come in diverse parti d’Italia si superino ancora i valori limite per il materiale particolato, il biossido di azoto, l’ozono troposferico. Nel quadro europeo, l’Italia con il bacino padano, rappresenta sempre una delle aree dove l’inquinamento atmosferico è più rilevante».

Per uscirne occorre impostare una strategia di respiro nazionale che affronti le principali fattori di criticità per l’inquinamento atmosferico, ovvero il traffico stradale e l’inadeguata climatizzazione degli edifici: le misure di riduzione dovranno essere «orientate a tutti i settori responsabili delle emissioni antropogeniche e sono prioritariamente rivolte – confermano dall’Ispra – al settore dei trasporti su strada, agli impianti di combustione di medie dimensioni (1-50 MWh), ai generatori di calore domestici a legna, alle combustioni all’aperto e al contenimento delle emissioni di ammoniaca dalle attività agricole e zootecniche».