«La scelta di non dotare la città di impianti sta avendo l’effetto di trasformare la città in una discarica a cielo aperto»

Che fine fanno i rifiuti di Roma? 500mila tonnellate l’anno fuori Regione

In media percorrono circa 450km, con costi ambientali ed economici elevati: per il solo trasporto si stimano «emissioni di PM10 pari a 5 volte quelle medie annue del TMB Salario»

[12 Dicembre 2019]

L’Agenzia per il controllo e la qualità dei servizi pubblici locali di Roma Capitale (Acos), istituita dal Consiglio comunale di Roma, ha presentato ieri in Campidoglio l’ultima relazione annuale sullo stato dei servizi pubblici locali: di particolare rilievo il capitolo dedicato all’igiene urbana e alla gestione dei rifiuti, che risulta particolarmente critica a causa dell’assenza sul territorio dei necessari impianti industriali di filiera.

Dal rapporto emerge innanzitutto che «il 2018 si caratterizza come l’anno più buio per i rifiuti a Roma, con la raccolta differenziata che registra una battuta d’arresto (44%), seguita da una ripresa grazie alla quale nel I semestre 2019 raggiunge quasi il 46%». I rifiuti prodotti e raccolti a Roma nel 2018 «sono 1,73 milioni di tonnellate», ma la città non ha gli impianti per gestirli secondo logica di sostenibilità e prossimità: «Permane la criticità dell’insufficiente dotazione impiantistica, particolarmente grave per quanto riguarda i rifiuti indifferenziati (con l’autonomia di Ama che scende al 24% per il trattamento e la completa dipendenza dalle esportazioni per lo smaltimento dei relativi residui), ma soprattutto per il trattamento dell’organico, la frazione più importante fra le differenziate, che al momento viene quasi completamente inviata in Friuli e in Veneto (92%)».

All’atto pratico questo significa che «nel 2018, Ama ha dovuto spedire fuori regione complessivamente quasi 500 mila tonnellate fra rifiuti e residui di trattamento, per una distanza media di circa 450 km, con costi non indifferenti e un impatto ambientale significativo: per il solo trasporto di questi quantitativi, l’Agenzia insieme al Dipartimento di ingegneria ambientale della Sapienza ha stimato emissioni di PM10 pari a 5 volte quelle medie annue del TMB Salario. Al costo ambientale si aggiunge poi il costo economico, che grava direttamente sulla TaRi pagata dai cittadini romani, attraverso incrementi di spesa al momento fra il 25% e il 50% rispetto alle tariffe di trattamento e con la prospettiva futura di ulteriori aumenti necessari a trovare sbocchi alternativi, vista la chiusura ormai prossima della discarica di Colleferro e la crescente opposizione degli impianti regionali ad accogliere i rifiuti capitolini».

«La carenza impiantistica ha gravi ripercussioni anche sul servizio di raccolta in città – concludono dall’Agenzia – spesso in affanno per carenza di sbocchi; questo comporta difficoltà per gli utenti a conferire correttamente, con ricadute negative sulla qualità e sulla quantità della differenziata, oltre che sul decoro e la pulizia delle strade. Una raccolta differenziata scarsa in quantità e in qualità allontana nel tempo la prospettiva dell’economia circolare, così che l’impiantistica insufficiente diventa la causa principale del fallimento dell’intero progetto. La scelta di non dotare la città di impianti, neppure quelli all’avanguardia che garantiscono recuperi energetici e risparmio di CO2, sta avendo l’effetto di trasformare la città in una discarica a cielo aperto».