Su Nature lo studio pubblicato da ricercatori italiani, austriaci e statunitensi

Clima, insieme al caldo cresce la domanda di energia: fino a +58% nel 2050

Senza investire in efficienza energetica e rinnovabili i cambiamenti climatici ci spingeranno in un circolo vizioso. E l’Italia è tra i Paesi più esposti

[24 Giugno 2019]

L’estate è arrivata e con lei l’Italia si prepara all’impatto con un’ondata di caldo particolarmente intensa, che potrebbe rivelarsi tra le più forti dell’ultimo decennio. Le avvisaglie non sono mancate: a Milano già il 19 giugno si è registrato un carico massimo sulla rete elettrica di 1.306 MW, il dato più alto del 2019, e il gruppo A2A ha diramato oggi una nota per avvisare che «le alte temperature previste a Milano nei prossimi giorni tenderanno ad aumentare drasticamente i consumi di energia in città», tanto da suggerire alcuni piccoli accorgimenti (impiego degli elettrodomestici nelle ore notturne e con programmi a basso consumo, impianti di climatizzazione settati non oltre i 25°C, etc) per «cercare di attenuare il carico sulla rete elettrica cittadina e il conseguente rischio di interruzioni del servizio». Nel medio periodo però i “piccoli accorgimenti” non basteranno: entro il 2050 i cambiamenti climatici potranno far schizzare la domanda di energia fino a +58%, come documenta uno studio pubblicato oggi su Nature Communications da ricercatori dell’International institute for applied systems analysis (Austria), Università Ca’ Foscari Venezia e Cmcc (Italia) e Boston University (Usa).

«In linea generale, le nostre società si adegueranno al cambio delle temperature aumentando il raffreddamento degli ambienti durante le stagioni calde e diminuendo il riscaldamento durante le stagioni fredde – spiega Enrica De Cian, docente alla Ca’ Foscari Venezia e ricercatrice del Cmcc – Questi cambiamenti nel condizionamento degli spazi avranno un impatto diretto sui sistemi energetici, dal momento che le imprese e le famiglie richiederanno meno gas naturale, petrolio ed elettricità per via delle minori esigenze di riscaldamento e viceversa più energia elettrica per soddisfare le maggiori esigenze di raffreddamento degli ambienti».

Secondo la ricerca pubblicata oggi su Nature, rispetto a scenari in cui la domanda di energia è determinata solo da incremento demografico e reddito i cambiamenti climatici porteranno la domanda globale di energia nel 2050 ad un aumento compreso tra l’11% e il 27% se il riscaldamento sarà modesto, e tra il 25% e il 58% se il riscaldamento sarà elevato. Vaste aree dei tropici, così come l’Europa meridionale, la Cina e gli Stati Uniti, sperimenteranno probabilmente i maggiori aumenti.

L’Italia sotto questo profilo gioca dunque una partita molto difficile. Per il nostro Paese il 2018 è stato l’anno più caldo da 219 anni, e l’aumento della temperatura rispetto al periodo 1880-1909 è circa +2,3 °C, più del doppio del valore medio globale; nonostante ciò il Governo italiano ha chiuso in un cassetto il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, la cui bozza era stata elaborata nel 2017 proprio grazie al supporto del Cmcc.

Per evitare il peggio è indispensabile spingere sugli investimenti in efficienza energetica, e puntare sulle energie rinnovabili come fonti energetiche (anche) per la climatizzazione: da questo punto di vista in Italia risulta particolarmente interessante la geotermia; nel nostro Paese come del resto in Europa circa la metà dell’energia totale consumata viene impiegata per la climatizzazione degli edifici residenziali, industriali e del terziario, e circa il 20% della popolazione europea vive in regioni dove la temperatura nel sottosuolo a 2mila metri di profondità è più alta di 60 °C, dunque adattissima a usi diretti della geotermia per il riscaldamento e raffrescamento degli edifici. Continuare a puntare sull’utilizzo massiccio dei combustibili fossili sarebbe infatti un circolo vizioso: la loro combustione emette gas serra, la temperatura aumenta e così le esigenze di climatizzazione, che a loro volta impiegano energia.

Ma se l’Italia ha i suoi bei problemi da affrontare, i Paesi a basso reddito e più esposti al riscaldamento globale – come molti dai quali arrivano i migranti che la politica dei “porti chiusi” vorrebbe rispedire al mittente – non sono certo messi meglio, anzi. «Più basso sarà il reddito pro capite, maggiore sarà la quota di questo reddito che le famiglie dovranno dedicare per adattarsi agli aumenti della domanda di energia – aggiunge Bas van Ruijven, ricercatore presso Iiasa – Nel caso di rapida crescita demografica considerato da alcuni scenari del nostro studio, l’aumento della temperatura al 2050 potrebbe esporre mezzo miliardo di persone a più basso reddito in paesi del Medio Oriente e dell’Africa ad aumenti della domanda di energia del 25% o più. I più poveri dovranno quindi confrontarsi non solo con sfide pecuniarie, ma anche con il maggiore rischio di malattie e di mortalità legate al calore, in particolare nelle aree con forniture di elettricità inaffidabili o dove mancano del tutto le connessioni alla rete».

Lo sviluppo economico nei paesi più poveri sarà quindi essenziale per aiutare le persone ad adattarsi agli impatti dei cambiamenti climatici, ma è impossibile chiudere gli occhi davanti alla realtà: una recente analisi condotta dal Cnr sulle migrazioni dalla fascia africana del Sahel, che rappresentano circa il 90% degli ingressi sul nostro territorio, mostra il legame con carestie, ondate di calore e aumento della temperatura, contro il quale non c’è retorica sui “porti chiusi” che tenga.