Cosa insegna la bocciatura della mozione “plastic free” al Comune di Siena

Riceviamo e pubblichiamo la lettera aperta dei giovani del Fridays For Future locale

[6 Agosto 2019]

Il 29 luglio il Consiglio comunale senese ha bocciato la mozione per la riduzione delle plastiche monouso. Noi di Fridays For Future Siena, dopo aver visto il video integrale dell’assemblea e dopo aver ascoltato le argomentazioni utilizzate a sfavore di questa mozione, avevamo già sollevato via socialle nostre perplessità in merito alla decisione presa.

Ora, i consiglieri comunali che si sono opposti alla mozione di riduzione delle plastiche monouso nei loro stessi luoghi di amministrazione pubblica, tornano a chiarire la loro posizione contraria in merito.

Ci tengono a far sapere che “si è cercato di far passare un messaggio sbagliato su quelle che sono le nostre posizioni”, ma le parole nel video estratto dalla seduta Comunale del 29 luglio, sono proprio le loro.

A sostegno di tali motivazioni si afferma che “Spesso […] la lotta alla plastica e all’inquinamento dei mari si riduce a folklore ambientalista”; affermazioni riduttive, anacronistiche e dettate da voluta cecità, ignorando una consistente mole di documentazione scientifica prodotta anche dall’Ateneo senese.

Nella loro replica, i consiglieri si giustificano ritenendo che “votare a favore (di) questa mozione sarebbe stato liquidare il problema in maniera semplicistica e demagogica”.

A seguito di queste dichiarazioni appare necessaria un’ulteriore risposta. A nostro avviso infatti, icomportamenti adottati dai consiglieri comunali sembrano essere una mancata presa di responsabilità nei confronti delle generazioni future.

Saranno loro, infatti, a dover rimediare ad errori ereditati da genitori e nonni.

Sempre in sede di Consiglio Comunale è stato detto che “molti dei nostri comportamenti sono guidati da false percezioni su ciò che è bene o male per l’ambiente, senza essere veramente informati su cosa è sostenibile e cosa non lo è, su quelli che sono i dati reali sull’inquinamento e soprattutto sulle cause”.

Visto che anche in un’intervista rilasciata il primo agosto uno dei consiglieri comunali ribadiva la necessità di informare i cittadini attraversodati scientifici, ecco che vogliamo provare ad accontentare la sua richiesta, con queste informazioni a seguire.

L’inquinamento da materie plastiche ha raggiunto ormai ogni comparto ambientale, ma quello dei mari è diventato il più simbolico. Si pensa che la maggior parte delle plastiche presenti nel Mediterraneo derivi solo da comportamenti incivili sui nostri lidi. In realtà non è proprio così. Dal Report UNEP, Marine plasticdebris and microplastic, si evince che l’80% delle plastiche in mare è causato da attività che avvengono sulla terra ferma. Discariche mal gestite o con scarse risorse; trattamento delle acque reflue inefficiente e straripamenti di fognatura; scarico inappropriato o illegale di rifiuti domestici ed industriali, sono solo alcune delle principali cause di inquinamento marino da materiali plastici. Non dimentichiamoci il ruolo degli agenti atmosferici come vento e pioggia che contribuiscono al trasporto di rifiuti abbandonati, passando dapprima dai sistemi fognari e dai fiumi per poi finire in mare. Questo è stato ricordato anche da Giuditta, bambina delle elementari che durante la prima Marcia Globale per il Clima del 15 marzo ha letto in Piazza del Campo la sua lettera agli adulti affermando che “se io che sono una bambina l’ho capito, perché voi adulti no?”

L’inquinamento dei mari è solo la punta di un iceberg. La plastica ha impatti rilevanti anche sugli ecosistemi terrestri e, adottando un approccio antropocentrico (ben lontano dal folklore ambientalista), anche sull’agricoltura. Sono numerosi infatti gli studi scientifici che dimostrano come le microplastiche siano fattori di stress antropogenici a lungo termine e fattori trainanti del cambiamento delle relazioni fondamentali tra suolo e acqua, con rilevanti conseguenze sulla struttura del suolo e sulla funzione microbica (de Souza Machado et al., 2018). Ma non finisce qui. Sempre secondo uno studio condotto dal team di de SouzaMachado, dell’Università di Berlino, un terzo dei rifiuti di plastica a livello globale contamina gli ecosistemi terrestri e le acque dolci con importanti conseguenze anche in termini di trasmissione di patogeni.

Inoltre, il CIEL- Center for International Environmental Law– nel rapporto Plastic &Health The HiddenCosts of a Plastic Planet attraverso un approccio di ciclo di vita, mostra come gli impatti dell’inquinamento da plastica non derivino solo dal consumo e dallo smaltimento dei rifiuti, ma anche dai processi industriali di estrazione, di trasporto e di manifattura, normalmente non considerati nel dibattito pubblico ma che tuttavia sono fondamentali per la produzione della plastica. Il CIEL, considerando tutte le fasi di ciclo di vita, ribadisce la presenza di rischi potenziali per la salute umana. Ad esempio, l’uso di prodotti in plastica, secondo il CIEL,potrebbecomportare ingestione e /o inalazione di particelle di microplastica e di sostanze tossiche con effetti cancerogeni e con possibili interferenze sul sistema endocrino. Utilizzare il condizionale è un obbligo in questi casi visto che la comunità scientifica sta ancora studiando gli impatti della plastica sulla salute umana. Tuttavia, approcciarsi alla plastica adottando un principio precauzionale invece che farne un uso smodato, sarebbe strategico col fine di prevenire potenziali danni sulla salute umana. Lo smaltimento dei rifiuti, inoltre, contribuisce al rilascio di metalli pesanti che impattano sulla salute dei lavoratori e delle comunità vicine. Se consideriamo invece la fase di estrazione di materie prime e la manifattura, i problemi maggiori derivano dall’inquinamento dell’aria e dalle emissioni di gas serra che contribuiscono all’aumento della temperatura globale da un lato e, dall’altro, all’incremento di patologie legate all’apparato respiratorio e a quello cardiovascolare come è stato dichiarato dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità.

In generale a livello europeo nel 2015 il consumo di plastica superava i 300milioni di tonnellate e, l’Italia era il secondo Paese in termini di consumi con una domanda del 14.3% (Plastic Europe, 2016; LealFilho et al., 2019). E’ facile immaginare quindi come il consumo di plastica possa impattare sulle nostre stesse vite e non solo sui mari che qui a Siena sembrano così lontani.

Se ci fossero ancora dei dubbi sull’impatto che la plastica potrebbe avere sulle nostre vite, consideriamo un prodotto che molto spesso utilizziamo nella nostra quotidianità; consideriamo una semplice bottiglietta di plastica.

Facendo riferimento a Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD) è stato stimato che una singola bottiglia in plastica da mezzo litro emette circa 0,20 kg di CO2-eq. In Italia si consumano 11 miliardi di bottiglie l’anno (Mineracqua, 2017) contribuendo a circa 2 milioni di t CO2-eq in atmosfera.

Di fronte a questi numeri, di certo l’immobilismo e la paura dei divieti non portano a nessuna soluzione. Cosa si potrebbe fare quindi?

Il Ministro Costa in un post del 31 luglio ha fatto presente come il Ministero dell’Ambiente in 10 mesi abbia evitato l’utilizzo di 100.000 bottigliette, con un risparmio di 2,6 tonnellate di plastica, corrispondenti a circa 20.000 kg di CO2-eq evitate. Lo stesso quantitativo di emissioni corrisponde a quelle di un’auto diesel che percorre un giro del mondo attorno all’equatore; per riassorbire naturalmente tali emissioni servirebbe una superficie boschiva di 7,7 ettari, ovvero circa 10,8 campi di calcio.

Come ricorda il Ministro, un minor uso di plastica si traduce in un minor quantitativo di rifiuti che le amministrazioni comunali e provinciali devono gestire con una rilevante riduzione in termini di costi (e di ulteriori emissioni di CO2 che sarebbero necessarie per la raccolta e la gestione del rifiuto!)

Ovviamente la misura adottata dal Ministro è stata simbolica ed è solo un primo passo verso la risoluzione del problema, ma mostra sensibilità e conoscenza delle problematiche legate alla produzione e al consumo della plastica.

Ricordiamoci inoltre che Siena è capoluogo di una provincia Carbon Neutral, il cui territorio dal 2011 è in grado di assorbire la totalità delle emissioni prodotte. L’Amministrazione Comunale è membro dell’Alleanza Territoriale edovrebbe essere nel suo interesse favorire il mantenimento di questo status o migliorarne la condizione.

Dal momento che si invita al dialogo chiunque sia interessato, noi di Fridays For Future Siena accettiamo e attendiamo una data per un momento di confronto con l’Amministrazione anche per chiedere chiarimenti.Vogliamo precisare che il dialogo con le istituzioni e l’elaborazione di politiche pubbliche ambientali per la conservazione del territorio e la salute dei cittadini sono tra le priorità del Movimento che agisce e lavora al riparo da qualsiasi forma di partitismo.

Contrariamente all’affermazione secondo cui “il divieto della plastica non è la soluzione al problema, ma anzi rischia di generare esattamente l’effetto opposto”; noi rispondiamo che ogni singolo comportamento virtuoso che vada nella direzione di un maggior rispetto dell’ambiente sia da appoggiare, lodare e diffondere.

Per concludere, si vorrebbe puntualizzare che la citazione riportata in Consiglio “sarebbe soltanto una goccia nell’oceano” è stata usata in modo inappropriato; Santa Teresa di Calcutta infatti amava dire “Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”.

di Fridays For Future Siena

L’inquinamento (in primis marino) da plastica è uno dei grandi problemi del nostro tempo, ma criminalizzare il materiale in sé più che il suo abuso – e soprattutto i conferimenti impropri una volta divenuto rifiuto – rischia di portare a soluzioni del tutto inefficaci. Soprattutto se il risultato finale è, all’atto pratico, semplicemente quello di sostituire imballaggi e stoviglie in plastica tradizionale monouso con imballaggi e stoviglie in bioplastica monouso.

Le bioplastiche hanno dei grandi vantaggi, in primis quello di non essere ricavate da materie prime non rinnovabili, ma non sono la soluzione all’inquinamento marino e ad oggi pongono in molti casi problemi nella gestione del rifiuto.

Per quanto riguarda l’inquinamento marino l’Unep sin dal 2015 spiega che addirittura «etichettare un prodotto come biodegradabile può essere visto come una soluzione tecnica che rimuove la responsabilità dell’individuo, con conseguente riluttanza ad agire»; più recentemente la stessa Assobioplastiche ha sottolineato che di per sé le bioplastiche «non sono la soluzione all’abbandono dei prodotti in mare o in altri ambienti, e nessuno ha mai tentato di accreditarle come tali». Se un sacchetto in bioplastica anziché uno in plastica tradizionale finisce accidentalmente in mare ciò rappresenta una mitigazione del danno ecologico, ha recentemente dimostrato il colosso di settore Novamont, ma alcuni prodotti in bioplastica (come le stoviglie) sono ad oggi difficilmente gestibili anche all’interno degli impianti di compostaggio industriale: a spiegarlo chiaramente è stato pochi giorni fa l’ad di Alia – il gestore unico per i servizi di igiene urbana nell’Ato Toscana centro –, suggerendo all’atto pratico di gettare questi materiali nell’indifferenziato. La stessa direttiva Ue che troverà applicazione dal 2021 afferma che anche la bioplastica dovrebbe essere considerata appunto come “plastica” ai fini di contrasto all’inquinamento marino, lasciando comunque ad oggi un certo grado di libertà interpretativa ai singoli Stati membri.

Per quanto riguarda l’inquinamento marino da plastica, come sottolinea giustamente anche il Friday for future, il principale problema è dato dalla scorretta gestione del rifiuto – in plastica tradizionale o meno – a terra: è necessario dunque promuovere dove possibile la sostituzione di prodotti monouso con altri durevoli, educare la cittadinanza a non disperdere i propri rifiuti, realizzare sul territorio una filiera industriale integrata efficiente (dall’avvio al riciclo alla discarica), costruire nuovi depuratori.

Alla luce di queste osservazioni la mozione avanzata nel Consiglio comunale senese porta alcuni elementi positivi, ma sono condivisibili anche alcune delle motivazioni avanzate da chi l’ha bocciata. Il problema sta nello schiacciare pressoché esclusivamente il dibattito nella contrapposizione tra plastica tradizionale e biodegradabile, quando invece andrebbero promossi nuovi modelli di consumo (non usa e getta) e una migliore gestione del rifiuto, bio o meno. Agitare in modo inopportuno la bandiera del “plastic free” non porta granché alla battaglia contro l’inquinamento marino.

La redazione di greenreport.it