Senza Eurobond l’Ue rischia la rottura, e all’Italia non resterebbe che guardare alla Cina

Dal Green deal al Wellbeing deal? Investimenti e politiche prima e dopo il Covid-19

La crisi in corso apre l’opportunità per una radicale rivoluzione politica: un modello con al centro ambiente, scolarizzazione, sanità, ovvero lo sviluppo umano

[30 Marzo 2020]

L’attuale crisi sistemica è una nuova tipologia di shock? Sì e no. La sua diffusione globale è certamente una parziale novità. D’altra parte, l’evoluzione delle società umane è sempre stata caratterizzata da shock (pandemie, pestilenze, guerre, recessioni capitalistiche, etc.), che generano effetti distruttivi e creativi sul versante socio economico, cambiamenti anche radicali, e richiedono risposte di politica nel breve e medio periodo. Le risposte di politica (economica) di fronte alle crisi hanno caratteri comuni, ma possono ‘sfruttare’ la crisi per introdurre elementi nuovi volti ad affrontare non solo il presente – la crisi – ma anche il futuro, il post.

Superate le prime ‘titubanze’, che comunque mostravano ancora errate concezioni della macroeconomica europea da parte di alcuni esponenti e della stessa Lagarde, la Bce si è posta a supporto della crisi. Ma non basta, per nulla, come pure i mercati azionari – miopi ma non sciocchi – ricordano. La politica fiscale, usata pochissimo dall’Europa nel 2009-2010, deve essere al centro del discorso. Ricordiamo il possibile uso di Eurobond suggeriti da un decennio dal prof. Quadrio Curzio ed altri economisti: strumenti pragmatici e funzionali data anche il poco ricordato rapporto tra debito pubblico e Pil europeo, che è – da 10 anni  ormai – ad un livello medio-basso (un super sostenibile 80%). Il margine c’è, dato che il deficit europeo e tedesco è intorno ad un pareggio (prima del coronavirus la Germania era ancora in avanzo di bilancio pubblico).

Ricordiamo la manovra fiscale di Obama tra il 2009 e 2012, con il deficit Usa che passò dal 3 al 10% per vari anni. Il debito è aumentato ma si colloca intorno al 100%. E non stupisca che ora Trump approvi una manovra che è il doppio di quella di Obama. Gli americani conoscono la macroeconomia e la applicano come serve, pragmaticamente. Se il Nord Europa non va verso politiche comuni quali gli Eurobond e non accetta di sforare ampiamente il 3% di deficit (qualcosa è stato fatto in verità rispetto al 2009, ma non basta), il continente rischia veramente di spaccarsi. Per paesi come l’Italia non resterebbe che entrare in altre aree economiche a fini di acquisto del debito e scambi commerciali. L’unica possibile è la Cina, l’unico attore in grado di sostenere il debito italiano in caso di necessità, con la quale si sta invero cooperando e vi sono affinità economico-industriali.

Attualmente, pur su dati molto fragili e in cambiamento, anche grazie alla prima risposta fiscale, il Pil 2020 è previsto in calo solo in Giappone, Italia, Spagna, Germania, tra -1 e 2.5% (pur con stime molto variabili). Il dato peggiorerà se la risposta fiscale europea, che ovviamente dovrebbe essere pari a quella Usa – di cui comunque gioviamo grazie alla connessione economica – non sarà ampliata. Se il l’Europa del nord non vorrà compiere ‘crimini macroeconomici’, usando le parole di Paul Krugman di qualche anno fa, una ampia risposta fiscale deve arrivare, a sostegno di redditi e occupazione.

La risposta fiscale, più spesa pubblica (2/3) e meno imposte (1/3) se si vogliono dare proporzioni efficaci, deve essere ampliata fino a toccare un deficit europeo ricompreso tra -6 e -8% sul Pil. Occorre poi ragionare della qualità della stessa. Qui emerge la connessione tra crisi Covid-19 e Green deal. Aggiungerei che è un’occasione per andare ‘oltre il Green deal’, e parlare di sviluppo umano, sostenibile. Sarebbe l’occasione per rendere finalmente operativo il pilastro della crescita e  dello sviluppo economico, l’investimento in R&S, raggiungendo in 3 anni il 3% sul Pil di investimenti a livello europeo. Sarebbe l’occasione per correggere i disinvestimenti in educazione e salute (vedi grafici), che presentano marcate eterogeneità e cali in alcuni Paesi nell’ultimo decennio. Sarebbe l’occasione per investire in altri pilastri dello sviluppo umano e sostenibilità. Sarà banale ripeterlo, ma ambiente, scolarizzazione, salute, ricerca sono i pilastri della crescita economica tout court e dello sviluppo sostenibile.

Il punto, superato la fase più critica e il picco della pandemia, sarà strutturare strategie ‘di uscita’ che tengano conto degli aspetti sia sanitari sia socio-economici, al fine di effettuare una transizione verso un post crisi dove le politiche e gli investimenti dovrebbero, o dovranno, essere guidati da approcci culturali e teorici di sostenibilità e wellbeing.

Questi investimenti renderebbero le nostre società umane e sistemi economici anche più resistenti e preparati ad affrontare shock futuri, sia economici sia sanitari, o di altra natura. Senza una mitigazione delle diseguaglianze tra territori e cittadini, non può esserci né una stabile crescita economica, né un ‘consenso’ per la radicale transizione ecologica. La transizione ecologica e la sostenibilità dipendono molto dalla ‘technè’, nuove tecnologie e forme di organizzazione sociale, ma non si raggiugerà senza un ampio consenso sociale, che passa per una migliore distribuzione del reddito e delle opportunità, che dipendono primariamente da investimenti in sanità e scolarizzazione pubblica. Riprendendo Alexander Langer, il presente è testimone che nessuna transizione ecologica è possibile se non è socialmente compresa, accettata e condivisa. Il momento attuale è utile per interrogarsi ancora su questo punto.

La domanda che si pone è: all’interno della risposta di politica fiscale volta a minimizzare i costi socio-economici, il Green deal sarà ancora più centrale o diventerà una parte residuale? L’importanza di una risposta fiscale ampia è importante per gli effetti sul Pil del 2020-21: se metteremo il Green deal al centro o meno è una decisione politica che può avere impatti di medio-lungo periodo. Una scelta può essere estendere Green deal e Just transition, formulando un ampio Wellbeing deal, con al centro ambiente, scolarizzazione, sanità, ovvero lo sviluppo umano. Non sarebbe peraltro una rivoluzione concettuale, sappiamo da decenni che quelle sono le vere determinanti dello sviluppo, ma sarebbe una radicale rivoluzione politica.