La bozza del testo inizialmente prevista per oggi in Cdm, appare destinata a slittare

Decreto Clima, ecco cosa (non) prevede il primo atto del Green new deal

Sull’End of waste per ora ci si ferma al titolo, mentre il taglio dei sussidi ambientalmente dannosi potrebbe fruttare 1,93 miliardi di euro nel 2020: necessario compensare da subito le ricadute sociali, per non ripetere l’errore dei Gilet gialli

[19 Settembre 2019]

S’iniziano a intravedere i segnali del Green new deal promesso dal Governo Conte bis, declinato nella bozza di un decreto legge contenente Misure urgenti per il contrasto dei cambiamenti climatici e la promozione dell’economia verde. La bozza (disponibile integralmente in coda all’articolo, ndr) è già stata ribattezzata decreto Clima, anche se in realtà i suoi 14 articoli dirigono le attenzioni prevalentemente su altri temi.

Sono infatti tre i capi in cui è diviso il testo, tutti “urgenti” per giustificare la via del decreto legge anziché la più lunga prevista per un disegno di legge: Misure urgenti per il miglioramento della qualità dell’aria; Misure urgenti per lo sviluppo dei parchi nazionali e la tutela degli ecosistemi; Disposizioni urgenti in materia di economia circolare. Ai cambiamenti climatici, dunque, riferimenti solo indiretti.

Piuttosto paradossale anche il richiamo all’economia circolare, cui vengono dedicati tre articoli di legge il più importante dei quali – art.12, Cessazione qualifica di rifiuto – composto ad oggi solo del titolo: il contenuto che rimane da scrivere riguarda l’End of waste, ovvero la normativa necessaria a stabilire quando un rifiuto cessa di essere tale al termine di un processo di recupero (il cuore del riciclo, dunque). Entrato in crisi con la sentenza 28 febbraio 2018 n. 1229 emessa dal Consiglio di Stato e poi peggiorato con lo Sblocca cantieri approvato da Lega e M5S, lo stallo sulla normativa End of waste rischia di aprire le porte a una «devastante crisi del settore rifiuti in Italia». Per sciogliere questo nodo gordiano oltre 50 associazioni d’impresa di settore hanno proposto a luglio un emendamento, portato all’attenzione del Parlamento proprio due giorni fa. Servisse ispirazione per l’art. 12 del decreto Clima, basterebbe darci un’occhiata.

Tutto ciò non toglie che nel decreto Clima vengano introdotte anche alcune proposte interessanti, in particolare all’articolo 6 con la Riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi. Nell’ultimo catalogo elaborato dal ministero dell’Ambiente (che è fermo ai dati 2017, in ritardo di un anno sulla tabella di marcia prevista dall’art. 68, L. n. 221/2015) ne vengono censiti per 19,3 miliardi di euro, ovvero 4,1 miliardi di euro in più di quanto l’Italia spende ogni anno in sussidi ambientalmente favorevoli; una somma enorme da poter aggredire e dalla quale attingere risorse per la transizione ecologica del Paese. Nei mesi scorsi il ministero dell’Ambiente ha già messo in campo alcune simulazioni che prevedono il taglio dei sussidi ai combustibili fossili, mostrando che in tutti i casi presi in esame (semplice riduzione della spesa pubblica, rimodulazione dei sussidi a sostegno di rinnovabili ed efficienza energetica, oppure per tagli al cuneo fiscale del lavoro qualificato) si avrebbe una diminuzione dei gas serra, un aumento del Pil e dell’occupazione.

All’atto pratico, la bozza di decreto prevede di azzerare tutti i sussidi ambientalmente dannosi entro vent’anni, partendo dal 2020 con tagli annui di almeno il 10%, il che significa che il prossimo anno potranno essere recuperati 1,93 miliardi di euro; a decidere quali importi tagliare saranno di volta in volta le leggi di Bilancio, e il 50% delle risorse recuperate andrà ad alimentare uno specifico fondo istituito presso il ministero dell’Economia «per il finanziamento di interventi in materia ambientale, con priorità alla revisione dei sussidi ambientalmente favorevoli, alla diffusione e innovazione delle tecnologie e dei prodotti a basso contenuto di carbonio e al finanziamento di modelli di produzione e consumo sostenibili». Del restante 50% non si parla, ma sarebbe più che opportuno dedicarlo a compensazioni di natura sociale, se necessario mirate a sostenere direttamente le categorie di cittadini (e redditi) più colpite dal taglio dei sussidi dannosi.

Un esempio su tutti: come la prenderebbero i possessori di auto diesel cui venissero aumentate le accise, un combustibile ad oggi (ingiustamente) avvantaggiato rispetto alla benzina a fronte di una spesa annuale per lo Stato di 4,9 miliardi di euro? Non bene, suggerisce la recente rivolta dei Gilet gialli in Francia, che ha poi costretto il presidente Macron a ingranare la retromarcia sull’ipotesi carbon tax. La transizione ecologica dovrà essere contemporaneamente anche giusta, o non sarà.

Fortunatamente c’è ancora probabilmente – volontà politica permettendo – qualche giorno per raddrizzare la mira su questa e le altre storture del decreto Clima, inizialmente previsto in Consiglio dei ministri per oggi (ovvero in tempo per poter essere sventolato al summit Onu sul clima che si aprirà a New York lunedì, e che vedrà la presenza del ministro Costa), sembra destinato a slittare per gli approfondimenti del caso: dopo 14 mesi di Governo scoraggianti sotto il profilo ambientale ora è arrivato sì il momento di fare presto, ma soprattutto di fare bene.