Arriva a sentenza (non definitiva) la Corte europea dei diritti dell’uomo

«Emissioni tossiche dall’Ilva di Taranto», l’Italia non ha protetto i cittadini

E ora? «Il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali dovrebbe essere attuato il più rapidamente possibile»

[24 Gennaio 2019]

Con sentenza emessa oggi, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha emesso il proprio verdetto sui ricorsi presentati nel 2013 e nel 105 da 180 cittadini che abitano o abitavano a Taranto e dintorni: «Le autorità italiane hanno mancato di proteggere i ricorrenti che vivono nelle aree colpite dalle emissioni tossiche dello stabilimento Ilva di Taranto». In particolare, la Corte ha rilevato una violazione dell’articolo 8 (Diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (Diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Si tratta di una sentenza non definitiva, in quanto ogni parte in causa può chiedere che a esprimersi sia la Grande camera della Corte, ma il giudizio emesso oggi afferma che «la persistenza di una situazione di inquinamento ambientale ha messo in pericolo la salute dei richiedenti e, più in generale, quella dell’intera popolazione che viveva nelle aree a rischio». A fronte di questa realtà le autorità italiane «non hanno preso tutte le misure necessarie per proteggere efficacemente il diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti», né hanno messo a disposizione dei ricorrenti «un rimedio efficace che consentisse loro di sollevare presso le autorità nazionali le loro denunce in merito al fatto che era impossibile ottenere misure per garantire la decontaminazione delle aree interessate».

La sentenza non dice però cosa avrebbero dovuto fare, le autorità italiane; nel rispetto dell’articolo 46 della Convenzione (Forza vincolante ed esecuzione delle sentenze) la Corte «ha ribadito che spetta al Comitato dei ministri (del Consiglio d’Europa, ndr) indicare al Governo italiano le misure che dovevano essere adottate per garantire l’esecuzione della sentenza della Corte, specificando al contempo che i lavori per bonificare la fabbrica e la regione colpita dall’inquinamento ambientale erano essenziali e urgenti, e che il piano ambientale approvato dalle autorità nazionali, che stabiliva le misure e le azioni necessarie per garantire la protezione dell’ambiente e della salute della popolazione, dovrebbe essere attuato il più rapidamente possibile».

La Corte non suggerisce dunque di chiudere l’Ilva, tra l’altro nel mentre passata a diversa proprietà (ora ArcelorMittal), anche perché questo con tutta probabilità consegnerebbe all’oblio la necessità di realizzare bonifiche su un’area di 1.500 ettari, quelli occupati dall’acciaieria più grande d’Europa. All’atto pratico, gli effetti della sentenza si presentano ad oggi molto limitati: secondo la Corte la «constatazione di una violazione» costituisce di per sé «sufficiente equa soddisfazione per il danno non patrimoniale», mentre lo Stato italiano dovrà pagare ai ricorrenti «5mila euro a titolo di costi e spese» legali. Per il presente e futuro dei tarantini a contare di più sarà il percorso intrapreso dall’acciaieria a partire dallo scorso settembre, con la benedizione del Governo gialloverde.