De Girolamo (Cispel): «Una crisi del settore che non trova soluzione»

I fanghi da depurazione toscani non trovano sbocco, un problema da 20 milioni di euro

I depuratori trattano i nostri scarichi fognari, ma non sappiamo come gestire gli scarti che ne derivano a causa di norme nazionali confuse e carenze impiantistiche locali. Così ogni anno 110mila tonnellate di rifiuti attraversano i confini regionali

[13 Dicembre 2018]

La Toscana produce attualmente circa 110.000 tonnellate di fanghi civili l’anno, che diventeranno 130.000 nei prossimi anni, con il completamento della depurazione in tutte le zone: derivano infatti dall’attività dei depuratori, che trattano i nostri scarichi fognari evitando che vadano ad inquinare coste e mari. Come tutti gli impianti industriali però anche questi producono scarti, e i fanghi rappresentano rifiuti speciali che è necessario gestire secondo logica di sostenibilità e prossimità: una gestione cui di fatto la nostra regione è impossibilitata a compiere da ormai due anni, quando uscì allo scoperto l’inchiesta Demetra e con essa le contraddizioni della normativa vigente. Da allora il 100% dei fanghi da depurazione civile toscana sono trattati fuori dai confini regionali, con grandi aggravi di costo dal punto di vista sia economico sia ambientale.

Una situazione che per prima la Confservizi Cispel Toscana ha denunciato – proprio attraverso le nostre pagine –, e che torna oggi ad approfondire attraverso un convegno dedicato a Firenze.

«Lo smaltimento dei fanghi di depurazione urbana della Toscana, ovvero quei fanghi derivati dal trattamento di depurazione delle acque reflue urbane, è in piena crisi – denuncia Alfredo De Girolamo, presidente di Confservizi Cispel Toscana – Questo perché prima si smaltivano direttamente in agricoltura, con gli agricoltori che li chiedevano per risolvere i problemi di campi senza animali e quindi con carenza di sostanza organica, una soluzione che costava poco alle aziende incidendo pochissimo sulla tariffa idrica. Oggi invece tra indagini, inchieste, leggi e regolamenti che non ci sono, conflitti di competenze fra Stato e Regioni, in Toscana i fanghi dei depuratori civili sono considerati alla stessa stregua della Terra dei Fuochi. Così la storia dice che negli ultimi mesi sono stati smaltiti altrove: se spandere fanghi sui terreni di casa nostra costava 50 euro a tonnellata, trattare fanghi per la discarica ne costa 180, andare fuori Toscana 250, all’estero 350. Così l’incidenza sulla tariffa idrica passa da 5 milioni di euro l’anno a 20. Con le tariffe, aumenta anche l’anidride carbonica che centinaia di autotreni producono per portare fanghi in giro per l’Italia se non fuori. Una crisi del settore che non trova soluzione».

La Regione Toscana sta tentando di metterci una pezza: è intervenuta dapprima con due ordinanze del presidente Rossi (del 3 agosto e del 18 ottobre 2018), prevedendo il conferimento presso alcuni impianti di discarica dei fanghi prodotti dal trattamento delle acque reflue urbane secondo le indicazioni contenute nelle ordinanze stesse, ma la matassa la può sciogliere solo il governo nazionale intervenendo sulla normativa di settore, dato che quanto fatto attraverso il decreto Genova non è risolutivo (si veda l’allegato Cispel per un approfondimento nel merito, ndr).

«Sul quadro legislativo – conferma De Girolamo (nella foto, ndr) – sono urgenti delle scelte del Governo, ci sono decreti tecnici fermi da mesi nei cassetti del Ministero dell’Ambiente dopo l’intesa con le Regioni di alcuni mesi fa. Occorrono inoltre investimenti negli impianti di depurazione per processi che riducano la quantità di fango: disidratazione, ispessimento, presse. Ma occorrono anche impianti per il recupero della frazione organica da definire attraverso specifici decreti end of waste, così come servono impianti per il recupero energetico. In Italia, Ispra stima in tre i milioni di tonnellate di fanghi civili, destinati a diventare presto quattro. Uno di quei rifiuti che è bene che aumenti, vuol dire che puliamo le acque. È urgente però regolamentare con chiarezza un settore che dopo questa crisi necessita di stabilità, per evitare che a rimetterci siano le tasche dei cittadini». Vale anche per la Toscana.

I fanghi di depurazione degli impianti a servizio delle fognature urbane sono da sempre stati utilizzati come fertilizzante ed ammendante dei terreni agricoli, pratica ampiamente diffusa in Europa, Italia e Toscana. Fino a settembre del 2016 circa il 40% dei fanghi toscani veniva recuperato in agricoltura nella nostra stessa regione, mentre il restante 55-60% avviato in compostaggio in impianti fuori regione (per mancanza di impianti in Toscana), con una piccola aliquota inferiore al 5% a incenerimento o discarica, per un costo complessivo di circa 10 milioni di euro l’anno. Ad oggi invece tutti i fanghi del servizio idrico integrato toscano vanno a recupero verso gli impianti di compostaggio o di trattamento nel nord Italia, Lombardia in particolare, ed all’estero verso termovalorizzazione con un aumento a stima di costo globale annuo di 18-20 milioni di euro, il quale peserà interamente sulle bollette pagate dai cittadini toscani.

«Oggi in questo quadro incerto, i fanghi – conclude De Girolamo – dopo un’estate di crisi che ha travolto anche il settore degli autospurghi, finiscono in discarica, unico provvedimento possibile ma ambientalmente il peggiore, contrario a tutti i principi della sbandierata economia circolare che tutti ricerchiamo. Incenerirli sarebbe un’altra soluzione, ma è complicato e comunque non abbiamo questo tipo di impianto. Altre strade non ci sono, se non smettere di depurare, ma questo è lo scenario più insostenibile e illegittimo».