Il Conte bis punta a un’Italia sostenibile, ma la prima volta non è andata bene

La Pagella Politica dell’esecutivo gialloverde mostra che è stato mantenuto solo il 13% del “contratto di governo”, e niente in fatto di ambiente e green economy: il passo tra il verde della Lega e quello dell’ambiente dovrà essere molto lungo, e misurato coi fatti

[29 Agosto 2019]

Da un Governo Conte all’altro: oggi il premier in pectore ha accettato “con riserva” l’incarico di formare il nuovo esecutivo affidatogli dal presidente Mattarella, e toccherà nuovamente a lui concretizzare l’auspicio che neanche dieci giorni fa aveva rivolto al Senato prima delle dimissioni. «L’obiettivo da perseguire dev’essere un’efficace transizione ecologica», dichiarò Conte nell’occasione, e oggi rincara il messaggio impegnandosi a formare una squadra di lavoro volta a disegnare un Paese «che primeggi, a livello internazionale, nella tutela dell’ambiente, della protezione delle bio-diversità e dei mari», «che abbia infrastrutture sicure e reti efficienti, che si alimenti prevalentemente con le energie rinnovabili», «che integri stabilmente nella propria agenda politica il Benessere equo e sostenibile», per «un Paese che rimuova le diseguaglianze di ogni tipo: sociali, territoriali, di genere».

In linea teorica, la nuova maggioranza che sostiene il Governo Conte bis – composta da M5S, Pd, Leu e Autonomie – potrebbe effettivamente avere una maggiore attenzione ai temi della sostenibilità rispetto a quella a trazione leghista, dove il verde non è mai stato sinonimo di green economy. Il precedente però non è comunque incoraggiante: le promesse contenute nel “contratto di governo” stipulato tra M5S e Lega, con Conte come garante, oltre a non aver mai posto al centro la sostenibilità sono state in larghissima parte disattese.

Il progetto di fact-checking Pagella Politica, nato nel 2012 per monitorare le dichiarazioni dei principali esponenti politici italiani, testimonia che nei 14 mesi di Governo gialloverde «Lega e M5s hanno mantenuto il 13% delle promesse (42), mentre le “Non mantenute” sono la maggioranza: oltre una su due (il 51 per cento), per un totale di 162. In 10 occasioni, il governo ha fatto l’esatto contrario rispetto alla parola data, mentre per 103 impegni qualcosa è stato fatto senza però realizzare del tutto la promessa».

Più nel dettaglio, secondo il lavoro di fact-checking condotto da Pagella Politica in fatto di “Ambiente, green economy e rifiuti” non è stata mantenuta nessuna delle promesse contenute nel “contratto di governo”. Non è semplice però esprimere un giudizio univoco perché, semplicemente, come mostrato a suo tempo su queste pagine nel “contratto di governo” alla sostenibilità erano dedicate solo poche righe e tutte non strettamente controllabili: solo linee d’indirizzo generali senza neanche un numero che potesse offrire orizzonti quantitativi e verificabili, ad esempio, sulle risorse da investire per il concreto sviluppo dell’economia verde nazionale.

Ciò che si può fare è guardare ai singoli atti di governo, dove le lacune spiccano però decisamente sui traguardi raggiunti. Ad esempio, se da un lato sono stati inseriti nel decreto Crescita dei timidi crediti d’imposta per favorire il riciclo mancano ancora i decreti attuativi per concretizzarli; in compenso è totale lo stallo sulla normativa End of waste, che rappresenta ancora oggi un freno a mano tirato per l’economia circolare italiana tanto da lasciar presagire alle imprese di settore una «devastante crisi del sistema rifiuti in Italia». Uno dei pochi desiderata esplicitamente citati nel “contratto di governo”, quello sull’acqua pubblica, è stato affrontato con il ddl Daga che di fatto ha conseguito l’unico risultato di mettere a rischio i progressi finalmente conseguiti negli ultimi anni in termini di investimenti nel settore idrico. Sul fronte climatico ed energetico non è andata meglio: il Piano integrato energia e clima, per come sta definendosi, non arriva neanche a un terzo dell’impegno necessario a raggiungere gli obiettivi assunti dall’Italia con la ratifica dell’Accordo di Parigi; il Piano di adattamento ai cambiamenti climatici è rimasto chiuso in un cassetto dal 2017; sono arrivati i nuovi incentivi (attesi dal 2016) per la produzione di energia elettrica da rinnovabili attraverso il decreto Fer 1, che ha però escluso una fonte come la geotermia che è stata coltivata per la prima volta in Italia e sulla quale ancora oggi il Paese vanta una leadership tecnologica a livello globale.

Gli auspici di «un’efficace transizione ecologica» per il nuovo governo vanno bene dunque, ma il premier Conte e la sua squadra dovranno stavolta dimostrare di portarli avanti in concreto: non attraverso un fumoso quanto ideologico “contratto di governo” ma attraverso una politica industriale pragmatica, che sappia unire la sostenibilità ambientale a quella sociale ed economica. Il passo tra il verde della Lega e quello dell’ambiente dovrà essere molto lungo, e misurato coi fatti.