Su coesione sociale ed energia rimangono le idee da brown economy

Il gotha di Confindustria a Livorno mette sul tavolo la competitività della manifattura toscana

Bramerini: «Se vogliamo attrarre investimenti è opportuno pensare alle bonifiche in termini di operazioni necessarie per i futuri insediamenti produttivi»

[15 Luglio 2013]

Di Lucchini, Tirrenica, Sin e Sir e molto altro si è discusso questa mattina all’assemblea generale di Confindustria Livorno, nella tavola rotonda dedicata ai fattori competitivi per l’attrazione di investimenti sul territorio. Alla presenza dell’assessore regionale all’Ambiente Anna Rita Bramerini, del direttore dell’Irpet Stefano Casini Benvenuti, del presidente di Confindustria Livorno Alberto Ricci e del presidente di Eni nonché delegato di Confindustria per gli Investitori Esteri Giuseppe Recchi, l’incontro è stato l’occasione per fornire alcuni aggiornamenti importanti.

A partire, appunto, dalla delicata partita fra governo e regioni sulle bonifiche e sul cosiddetto declassamento dei Siti di Interesse Nazionale a Siti di Interesse Regionale. Ne ha parlato in particolare l’assessore Bramerini, che con la sua consueta cautela ha rassicurato gli industriali rispetto alla trattativa con il ministero dell’Ambiente: «La nostra proposta è ora al vaglio del Ministero – ha spiegato – che ci ha convocati lo scorso 5 luglio e con cui abbiamo un dialogo al momento proficuo. Contiamo di chiudere i passaggi preliminari entro settembre e di essere pronti per quella data».

Il declassamento dei Siti di Interesse Nazionale prevede il passaggio di riperimetrazione già avviato ad aprile dalla Regione, attraverso il quale sono rientrati nei Sir i territori di Massa Carrara, Livorno e Piombino, per un totale di circa 85 chilometri quadri: 53 di mare e 33 di terra.

«Si tratta di tradurre in pratica, con questa operazione, principi come quelli che attengono il corretto uso del suolo», ha detto ancora Bramerini. «La scommessa non riguarda infatti solo la bonifica dei siti inquinati, ma i tempi di realizzazione e la prospettiva a lungo termine. Infatti i siti in oggetto riguardano le aree più industrializzate della Toscana, e se vogliamo attrarre investimenti è opportuno pensare alle bonifiche in termini di operazioni necessarie per i futuri insediamenti produttivi».

Quanto alla semplificazione burocratica, l’assessore regionale parla chiaro: «È bene diffidare da chi annuncia facili semplificazioni amministrative. Per quanto il passaggio alla competenza regionale sia positivo, perché facilita le relazioni fra imprese e istituzioni e consolida rapporti già avviati, dall’altra parte abbiamo di fronte delle procedure nazionali che non vengono modificate». E proprio al riguardo non sfugge la complessità di un’operazione che ha già portato agli uffici regionali «oltre 400 procedimenti amministrativi», per i quali occorre «una struttura pronta in grado di rispondere a tutti».

Su questo punto Bramerini lancia segnali a Roma: «Confidiamo in uno sforzo ulteriore del governo, senza sconti sui procedimenti ma attraverso forme di sostegno alle imprese che devono sostenere costi altissimi per le bonifiche. Da parte del governo ci aspettiamo qualche passo in avanti, altrimenti il rischio è che tutto resti così». Infatti, oltre alla riperimetrazione, le regioni dovranno dare corso alle bonifiche, ma il nodo da affrontare rimane quello dei finanziamenti, che devono essere adeguati allo scopo. Le perplessità davanti a questo punto sono ancora tante, ma senza affrontarlo con la massima franchezza ci troveremmo – alla fine – di fronte ad una procedura burocratica che non sposterà una virgola sul territorio.

Quanto allo stato di salute dell’economia livornese, in particolare quella legata alle industrie, è il direttore di Irpet Casini Benvenuti a fornire alcuni elementi di chiarezza: «Non tutte le imprese sono state colpite allo stesso modo – ha detto – manifatturiero e costruzioni sono i settori che più hanno sentito la crisi, arrivando a perdere anche il 20-25% del loro valore aggiunto. Siamo trainati dalle esportazioni e l’unica possibilità di ripresa viene dal saper stare sul mercato internazionale, anche perché la domanda interna difficilmente crescerà al punto di poter soddisfare il mercato».

Di permanenza sul mercato internazionale ha parlato anche il presidente di Eni, per il quale l’Italia presenta «grossi punti di vantaggio come la cultura dell’impresa, il know how della manodopera e la creatività», a fronte di molti difetti, fra tutti «i problemi organizzativi e decisionali che scoraggiano i grandi investitori». Ma il modello cui guarda Recchi difficilmente può dirsi sostenibile: «Potremmo raddoppiare la produzione di petrolio italiano e assicurare allo Stato oltre 2,5 miliardi di euro in royalties. Ma non lo si fa perché si temono decisioni così importanti».

Poco sostenibile è anche l’approccio al lavoro auspicato dal presidente di Confindustria Toscana Piefrancesco Pacini: «È necessario che i sindacati condividano la nostra ossessione per la produttività», ha detto alla platea. Diverso l’approccio del suo collega di Livorno, Alberto Ricci, per il quale invece «un tema che reputo decisivo per la competitività del territorio è quello della coesione sociale».

«Un territorio coeso è certamente più attrattivo e capace di accogliere nuovi investimenti», ha aggiunto, mentre proprio sul controverso rapporto fra produttività e lavoro ha detto: «Se il nostro Paese, rispetto agli altri, ha ancora un buon livello di coesione sociale, ciò è anche dovuto all’alto senso di responsabilità civile di larga parte della classe imprenditoriale, che ha anteposto il mantenimento dei livelli occupazionali al risultato di esercizio, pur in un contesto di difficoltà eccezionale».