In Italia 1 milione di ragazzi sono tornati in piazza per difendere il clima, e il nostro futuro

Il Governo promette il Green new deal, ma al momento c’è solo un Piano nazionale clima ed energia inadeguato

[27 Settembre 2019]

Il terzo sciopero globale per clima, organizzato ancora una volta dai giovani del movimento Fridays for future ispirato dalla 16enne Greta Thunberg, è stato un enorme successo di piazza: i primi numeri parlano di 200mila manifestanti a Roma, 150mila a Milano, 80mila a Napoli, 50mila a Firenze, 20mila a Torino e Bologna, 10mila a Palermo e Bari. E questo guardando solo ai Comuni più grandi; allargando lo sguardo all’intero Stivale – sono almeno 160 le città coinvolte – si arriva a 1 milione di persone.

«Diamo ai giovani lo spazio che meritano e che si sono guadagnati – commenta il ministro dell’Ambiente Sergio Costa – senza mettere alcun cappello sui loro messaggi, e consapevoli che le loro proteste sono rivolte verso di noi, verso le scelte della politica nazionale e internazionale, dobbiamo ascoltarli e agire subito. Non possiamo più permetterci di agire seguendo la logica dell’emergenza Dobbiamo avere una visione di lungo spettro e costruirla insieme alla classe dirigente del futuro: i ragazzi e le ragazze che oggi sono in piazza a manifestare. Questa ondata, questa loro voglia di osare, mette ancor più noi rappresentanti delle istituzioni dinanzi all’urgenza di agire subito, di farlo prima che sia troppo tardi, perché non abbiamo un pianeta B».

Occorre però osservare con sincerità che questa auspicata svolta ancora non è arrivata. L’Italia era impreparata al primo sciopero globale per il clima dello scorso 15 marzo, e da allora nonostante il cambio di governo di passi avanti non se ne sono ancora visti. Il nuovo esecutivo ha promesso un Green new deal, che è però ancora in fase di elaborazione; le prime avvisaglie, come la prima bozza del decreto Clima avanzata proprio dal ministro Costa, sono positive ma timide quando non lacunose.

Prima di arrivare al testo definitivo sarebbe opportuno misurare l’ambizione italiana con quanto messo in campo dalla prima potenza economica e industriale d’Europa, la Germania: esattamente una settimana fa il governo tedesco presentava il proprio Klimaschutzprogramm, proprio mentre a Berlino sfilavano 270mila ragazzi in difesa del clima. Un programma al 2030 che presuppone investimenti pari a 54 miliardi di euro solo nei prossimi tre anni, e che concorre all’obiettivo di un taglio delle emissioni tedesche di gas serra del 55% al 2030, in linea con le nuove ambizioni europee.

Al confronto il Piano integrato energia e clima (Pniec) inviato a Bruxelles dal primo Governo Conte questo gennaio è già preistoria. Il nuovo ministro dello Sviluppo economico, intervenendo al Consiglio Ue solo tre giorni fa, l’ha difeso affermando che ha obiettivi «adeguati», nonostante il Piano ipotizzi un taglio delle emissioni solo di circa il 33%. Un deficit d’ambizione che pone il Paese in retroguardia non solo rispetto alle richieste avanzate dai giovani del Fridays for future, ma anche rispetto al nuovo corso europeo preannunciato dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, la quale ha proposto degli obiettivi più audaci sulle emissioni, con una riduzione dal 50% al 55% entro il 2030, rispetto al -40% oggi in vigore. Lo stesso target che il Centro interuniversitario per lo sviluppo sostenibile (Cirps), insieme alla Commissione scientifica sul Decomissioning nucleare, ha chiesto che venga adottato anche nel nostro Paese.

Ma se la Germania si è subito adeguata alle nuove ambizioni europee l’Italia è rimasta indietro, col rischio non solo di mancare al proprio impegno nella sfida contro i cambiamenti climatici, ma anche di perdere la più importante occasione di sviluppo (sostenibile) dei prossimi decenni: si stima infatti che la green economy italiana, se adeguatamente sostenuta, potrebbe creare 800mila posti di lavoro in Italia nei prossimi cinque anni. Un obiettivo per raggiungere il quale servono però politiche industriali coerenti, altrimenti il Green new deal è solo greenwashing.