Dal cane a sei zampe i primi dettagli sul processo industriale, all’esame la fattibilità

Ipotesi bioraffineria, i Comuni di Livorno e Collesalvetti hanno iniziato il confronto con Eni

Sarà attivato un coinvolgimento del territorio, anche la Cgil vuole partecipare: «Serve chiarezza su obiettivi e ricadute occupazionali, fondamentale poi che il saldo ambientale sia positivo»

[18 Luglio 2019]

Negli ultimi due giorni è iniziato il confronto degli enti locali con Eni per approfondire il progetto che punta a realizzare una bioraffineria negli impianti del cane a sei zampe a Stagno, tra Livorno e Collesalvetti: qui sorge oggi una raffineria fondata prima della II guerra mondiale, poi distrutta dai bombardamenti e tornata ad essere operativa negli anni ’50, per divenire dal 1982 di proprietà al 100% dell’Eni. Più volte in anni recenti sul destino dell’impianto sono calate forti incertezze, mentre adesso si profila l’ipotesi di un investimento da 250 milioni di euro da parte di Eni e della società pubblica Alia spa – il gestore del servizio integrato dei rifiuti urbani nell’Ato Toscana centro – per ricavare metanolo da 200mila tonnellate l’anno di Css (Combustibile solido secondario) da rifiuti e rifiuti plastici.

Si tratta di un processo industriale che utilizza uno schema «già noto all’industria petrolifera, con impianti di gassificazione di materie prime fossili già presenti in Italia», dettaglia l’Eni. In questo caso però cambia sia l’input (Css e plastiche) sia l’output, ovvero «carburanti e intermedi per la produzione di plastiche pregiate». L’iniziativa in studio prevede una tecnologia «complessa e prima al mondo», e per questo Eni «sta svolgendo tutti gli studi in merito alle condizioni di fattibilità tecnico-economica e autorizzativa dell’impianto», che prevede la gassificazione di plastiche difficilmente riciclabili (plasmix) e combustibile solido secondario (Css), per la produzione di metanolo. «Il processo industriale – argomenta Eni – prevede la produzione di un syngas ricco in idrogeno ed ossido di carbonio attraverso una reazione di ossidazione parziale con ossigeno, in ambiente chiuso e quindi senza emissioni dirette in camino, a differenza di un inceneritore, dove i fumi vengono trattati e poi rilasciati in atmosfera. La reazione inoltre avviene in condizioni di alta temperatura, tale da non permettere la formazione di diossine e altri composti organici tossici e potenzialmente cancerogeni e consentendo il processo di vetrificazione del materiale inerte, presente nella carica. Le uniche emissioni sono di CO2 ad elevata purezza e che può essere resa disponibile sul mercato».

Il progetto di Livorno si colloca dunque in un più ampio quadro strategico di Eni verso un’evoluzione di business in ottica circolare – nel quale si inseriscono ad esempio le iniziative già portate avanti nelle raffineria di Porto Marghera e Gela –, con la multinazionale che ha dichiarato che investirà «più di 950 milioni di euro nei prossimi 4 anni in iniziative di economia circolare».

Dopo questo primo confronto con i sindaci, i Comuni di Livorno e Collesalvetti attendono di saperne di più: «Si è fatta chiarezza sul percorso, che si svilupperà in intesa con il Comune di Livorno, che ha il dovere – sottolineano dall’amministrazione – di tutelare i propri cittadini, il lavoro, l’ambiente ed il consolidamento della realtà Eni. I vertici dell’azienda hanno tenuto a precisare che durante il percorso si confronteranno con il territorio e la comunità locale».

Nel frattempo, dopo una prima ma ancora interlocutoria apertura arrivata anche da Legambiente Toscana e Cgil Toscana verso il progetto, più entusiasta è la posizione assunta dalla Filctem-Cgil della Provincia di Livorno, che ha ben presenti le attuali difficoltà della raffineria: «Apprendiamo di buon grado l’interesse di Eni per un progetto di sviluppo della raffineria nel campo dell’economia circolare – dichiara il segretario generale Gianluca Persico – Sono decenni che a Livorno non venivano ipotizzati investimenti nella struttura di Stagno. Non dimentichiamoci che Eni nel 2009 e nel 2014 non riteneva più strategico il sito livornese e voleva cedere la raffineria a terzi. Da quel momento abbiamo sempre chiesto ai tavoli ufficiali che venisse fornita una prospettiva futura alla raffineria, ben consapevoli che altrimenti il futuro sarebbe stato segnato. Adesso come organizzazioni sindacali e lavoratori vorremo essere maggiormente coinvolti da parte dell’azienda per conoscere i dettagli di questa operazione».

«Salute e sicurezza non sono mai stati barattabili – continua Persico – È per questo che, come organizzazioni territoriali ed Rsu, abbiamo chiesto un incontro urgente ai vertici Eni. Auspichiamo in parallelo l’apertura di un tavolo di lavoro in cui le organizzazioni sindacali insieme a Eni, Regione, Comuni di Collesalvetti e Livorno e gli altri enti preposti possano seguire tutti gli dettagli progettuali e realizzativi di questo impianto. Serve chiarezza sugli obiettivi e sulle ricadute occupazionali. Fondamentale poi che il saldo ambientale sia positivo. Non facciamoci illusioni: l’alternativa all’attuale raffineria può essere solo una raffineria sempre più integrata e ambientalmente sostenibile gestita da una multinazionale come quella attuale che non lesina importanti investimenti per la riduzione dell’impatto ambientale. Quell’area non tornerà mai ad essere un campo di margherite: di questo purtroppo ne abbiamo certezza visto anche che gli ultimi siti dismessi dopo la frettolosa fuga delle multinazionali (come ad esempio Trw, Trinseo, Ceramiche industriali) sono ancora lì in attesa di bonifica e di riconversione».