Istat: i crimini diminuiscono, in compenso aumentano povertà e consumo di risorse naturali

Al di là di ogni propaganda, l’Istituto nazionale di statistica ha aggiornato gli indicatori sul benessere italiano: sarebbero utili alla politica per definire le priorità del Paese

[12 Luglio 2018]

L’Istat ha offerto per la prima volta un aggiornamento semestrale degli indicatori che compongono il Bes, ovvero la misura complessa – ambientale, sociale, economica – del Benessere equo e sostenibile italiano: una scelta dovuta alle «nuove esigenze di tempestività», in quanto una (piccola) parte degli indicatori Bes ormai è stata inserita anche all’interno dei Documenti di economia e finanza (Def), e monitorarne l’andamento dovrebbe rappresentare non solo un modo per riempire scartoffie ma per indicare alle classi dirigenti come procede lo sviluppo del Paese, e dove intervenire per migliorarlo.

Basta dare un’occhiata al report Istat per avere la conferma, ad esempio, che nonostante la propaganda salviniana non c’è nessuna “emergenza sicurezza” in Italia. Semmai è vero il contrario: «Per quanto riguarda la sicurezza, gli indicatori relativi ai reati predatori (borseggi, rapine e furti in abitazione) mostrano un miglioramento nel 2016; in particolare i furti in abitazione passano da 18,6 a 16,9 per mille famiglie e la diminuzione è più sensibile nel Centro-Nord, dove erano più diffusi».

In compenso i dati Istat mettono in evidenza altre “emergenze”. Come quella relativa a disuguaglianza e povertà, visto che «peggiorano le condizioni delle fasce più deboli della società. Nel 2017, si stima che 5 milioni e 58 mila individui (8,4% dell’intera popolazione) si trovino in condizione di povertà assoluta, il valore più alto dal 2005». A peggiorare sono anche gli indicatori soggettivi, con una diminuzione della quota di individui soddisfatti per la propria vita: «La percentuale di persone di 14 anni e più che hanno espresso un voto tra 8 e 10 passa dal 41% nel 2016 al 39,6% nel 2017». Non va meglio con gli indicatori riferiti al clima sociale, che «non mostrano segnali di miglioramento: diminuisce nel 2017 la quota di persone che dichiarano di avere parenti, amici o vicini su cui contare (da 81,7% del 2016 a 80,4%). Resta molto bassa anche la quota di persone che esprimono fiducia verso gli altri (19,8% nel 2017)». Da questo punto di vista, alimentare campagne d’odio e discriminazione verso gli altri non sembra la ricetta migliore per ricostruire fiducia nel Paese, il primo collante di ogni collettività.

L’aggiornamento fornito dall’Istat offre anche l’occasione di fare il punto sulle performance ambientali del Paese: «Tra gli indicatori di ambiente e paesaggio, nel 2016 il Consumo materiale interno, che sintetizza un ampio insieme di fattori di pressione sull’ambiente, aumenta per il secondo anno consecutivo attestandosi a 515,4 milioni di tonnellate (+2% sull’anno precedente)». Più in dettaglio, il Cmi, per come lo definisce l’Ispra, misura il consumo apparente di risorse materiali di un paese, pari alla quantità di materiali che alla fine del periodo di riferimento sono stati trasformati in residui (emissioni nelle acque, nell’aria e nel suolo) oppure nuovi stock del sistema socioeconomico (rifiuti in discariche controllate; beni capitali, quali edifici, infrastrutture e macchinari; beni durevoli di consumo).

In altre parole, il Consumo materiale interno rappresenta la quantità di risorse naturali che il metabolismo economico di un Paese consuma e digerisce ogni anno. Nel caso italiano, il dato è calato sensibilmente durante gli anni di crisi economica che hanno falcidiato industria e consumi – il Cmi era pari a 832 milioni di tonnellate nel 2007 –, ma ha ripreso a crescere non appena l’economia è tornata timidamente a girare: dalle 474,9 milioni di tonnellate del 2014 siamo passati alle 505,5 del 2015 e infine alle 515,4 stimate per il 2016, dove al momento si ferma la serie storica.

Vale la pena notare che il consumo di risorse naturali, oltre a rappresentare un elemento fondamentale della nostra pressione sull’ambiente, è profondamente legato sia alla competitività economica (a maggior ragione per l’Italia, tradizionalmente povera di materie prime e dunque dipendente dall’import) sia alle disuguaglianze globali: come ci ricorda l’Onu, nel 2017 l’umanità ha estratto dall’ambiente 88,6 miliardi di tonnellate di materie prime, ma i Paesi ricchi (come il nostro) consumano 10 volte più risorse di quelli poveri. In questa realtà si nascondono molte ragioni delle migrazioni che tanto preoccupano il nostro attuale ministro dell’Interno, ma pensare di risolverle chiudendo i porti è pura propaganda.