Istat, l’emergenza migranti sono gli italiani che se ne vanno: saldo a -70mila cittadini nel 2018

Il Bilancio demografico nazionale mostra un Paese sempre più vecchio, con meno giovani e il minimo di nascite dall’Unità d’Italia

[3 Luglio 2019]

Mentre c’è chi continua a starnazzare di una crisi (inesistente) per i migranti in arrivo sulle coste italiane, il nuovo Bilancio demografico nazionale pubblicato oggi dall’Istat ha il merito di mettere in evidenza la vera crisi demografica che l’Italia sta vivendo: un Paese sempre più vecchio, con meno giovani e con espatri in aumento. Anche nel primo anno di governo gialloverde, ovvero il 2018, «i saldi migratori per l’estero mostrano un bilancio negativo per gli italiani (-70 mila) e positivo per gli stranieri (+245 mila)». In altre parole è cresciuta l’emigrazione di cittadini italiani: +1,9%. Sono questi i migranti di cui dovremmo preoccuparci, quegli italiani che il Paese non riesce a valorizzare e che fuggono all’estero.

Non si tratta di un problema nuovo, ma che va acuendosi nell’ignavia dei governi che si sono finora succeduti, compreso quello in carica. Come testimonia l’Istat ormai dal 2015 la popolazione residente è in diminuzione, configurando per la prima volta negli ultimi 90 anni una fase di declino demografico; al 31 dicembre 2018 la popolazione ammonta a 60.359.546 i residenti, oltre 124 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,2%) e oltre 400 mila in meno rispetto a quattro anni prima.

Nel 2018 si sono registrate più nascite che morti in tutto il territorio nazionale tranne che in Provincia di Bolzano – segno evidente che qualcosa si può fare contro questa tendenza, mettendo in campo le politiche giuste –, con un nuovo record negativo: sono stati iscritti in anagrafe per nascita solo 439.747 bambini, il minimo storico dall’Unità d’Italia. Non c’è da stupirsi, se i giovani che potrebbero (e vorrebbero) fare figli sono i meno valorizzati d’Europa: per Eurostat è infatti proprio in Italia la percentuale più alta di Neet – persone che non lavorano, non studiano, non sono inserite in un percorso formativo – tra i 20 e i 34 anni: 28,9%, davanti a Grecia, Bulgaria e Romania. Il risultato peggiore dell’Ue; difficile pensare di mettere su famiglia in queste condizioni.

Così, il declino demografico è «rallentato dalla crescita dei cittadini stranieri», che per propaganda politica l’Italia dovrebbe cancellare del tutto dandosi la zappa sui piedi: dall’inizio del 2015 «la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila). Si consideri, inoltre, che negli ultimi quattro anni i nuovi cittadini per acquisizione della cittadinanza sono stati oltre 638 mila. Senza questo apporto, il calo degli italiani sarebbe stato intorno a 1 milione e 300 mila unità. Nel quadriennio, il contemporaneo aumento di oltre 241 mila unità di cittadini stranieri ha permesso di contenere la perdita complessiva di residenti».

Ma anche questo flusso si sta restringendo, con un calo del -3,2% degli iscritti dall’estero, dovuto soprattutto alla diminuzione di immigrati stranieri: «Nel 2018 le iscrizioni in anagrafe di cittadini provenienti dall’estero sono state 332.324, oltre 11 mila in meno rispetto al 2017». Nel mentre però le condizioni socio-economiche di chi è rimasto, italiano o straniero, non sono cambiate in meglio. Anzi.