In Italia sono i trentenni le prime vittime della crisi, ma a perderci è tutto il Paese

Istat: «Grave situazione di sottoutilizzo di un segmento di popolazione ad elevato impatto potenziale sullo sviluppo economico del Paese»

[20 Aprile 2017]

Il direttore Istat Roberto Monducci, intervenendo in Parlamento con un’audizione incentrata sugli obiettivi delineati nel Def (Documento di economia e finanza) appena elaborato del governo, ha avuto l’occasione di riportare il dibattito in corso sull’economia italiana al di sopra di sterili schemi contabili. Dietro le manovre e “manovrine” fiscali o l’andamento delle risicate percentuali di Pil si apre una dimensione umana fatta di cittadini in crescente difficoltà. Soprattutto se giovani, lasciati perennemente indietro nelle politiche portate avanti in tutti questi anni di crisi.

Non che il quadro generale sia roseo. «Nonostante il miglioramento delle condizioni economiche delle famiglie – osserva Monducci – nel 2016 non si è osservata una riduzione dell’indicatore di grave deprivazione materiale, corrispondente alla quota di persone in famiglie che sperimentano sintomi di disagio», una quota che «si attesta all’11,9%, sostanzialmente stabile rispetto al 2015 (si tratta di circa 7,2 milioni di persone in oltre 3,1 milioni di famiglie)».

Eppure quella che caratterizza i “giovani” (gli under35) italiani è una contraddizione ancora più acuta, che minaccia non solo il presente ma anche l’immediato futuro di tutto il Paese. I trentenni italiani – o meglio la fascia dei 25-34enni – hanno in dote un livello medio di istruzione «decisamente più elevato» rispetto a quello dei propri genitori 55-64enni, con «un’incidenza dei laureati tra i primi è del 25,6% contro il 12,4%, e quella dei diplomati è pari al 48% contro il 36% circa». Un’istruzione costosa, finanziata in larga parte con risorse pubbliche. Non è però grazie al (solo) merito che si trova lavoro: neanche un quarto (21,2%) dei 25-34enni che erano disoccupati nel quarto trimestre del 2015 risulta occupato un anno dopo (il 43,8% è ancora disoccupato, il 35% inattivo). E per i pochissimi che sono riusciti a trovare lavoro è stata determinante la rete di conoscenze personali.

«I canali che più frequentemente hanno portato a un esito positivo nel trovare lavoro – dettaglia l’Istat – sono stati il ricorso alla rete di parenti e amici (il 41,9% degli occupati che non lo erano un anno prima) o la diretta richiesta a un datore di lavoro (il 18,9%). L’8% si è rivolto ad agenzie interinali o altre agenzie private di intermediazione. Solo il 2,5% degli occupati che non lo erano un anno prima ha trovato lavoro attraverso i Centri pubblici per l’impiego».

Risulta evidente «una situazione del mercato del lavoro ancora sfavorevole per la fascia di età 25-34 anni», un contesto dove a perderci non sono solo i trentenni ma tutto il Paese. «Il basso tasso di occupazione dei 25-34enni (60,3% nella media del 2016), costituisce una criticità per il presente e il futuro di queste generazioni che rischiano di non avere una storia contributiva adeguata. Il loro scarso impiego – sottolinea l’Istat – indica una grave situazione di sottoutilizzo di un segmento di popolazione ad elevato impatto potenziale sullo sviluppo economico del Paese».

Un pessimo risultato che ci pone in coda alle performance europee – nel 2016 il tasso di occupazione dei 15-34enni italiani era pari al 39,9%, rispetto al 54,0% dell’area euro e al 56,4% dell’Ue28 – e che mina alla base la struttura demografica del Paese oltre alle aspirazioni dei singoli, inficiando la possibilità di metter su famiglia.

Il tasso di occupazione dei giovani 25-34enni «muta considerevolmente in funzione del genere (51,5% per le donne e 68,9% per gli uomini) e del ruolo in famiglia», continua Monducci, ma in ogni caso tra «il 2008 e il 2016 il tasso di occupazione della fascia di età 25-34 anni cala sia per gli uomini sia per le donne qualunque sia il ruolo svolto in famiglia», con una diminuzione delle famiglie in cui entrambi i coniugi «sono occupati, in particolare fra le coppie in cui la donna è nella fascia di età 25-34 anni, ulteriore segno che la crisi ha avuto un impatto maggiore sui nuclei familiari di giovani».

Senza stipendio, senza famiglia, senza figli. I trentenni italiani rappresentano la generazione senza. Sono appena l’11% della popolazione nazionale (sono 6.798.525 i 25-34enni censiti dall’Istat) e hanno scarso appeal per quei politici a caccia di voti, ma costituiscono la prima leva per far ripartire il Paese. Se l’Italia non riuscirà a mettere a frutto neanche i suoi figli più giovani, istruiti ed attenti alla sostenibilità – magari facendo leva su quegli investimenti pubblici in calo «ininterrottamente da sette anni», come evidenziato dall’Istat – assai difficilmente riuscirà a farlo con altri.