Un ruolo d’eccellenza in Italia tra le “comunità dell’energia”

La Comunità del cibo a energie rinnovabili esempio di «assoluto interesse» per Legambiente

L’associazione ambientalista in “Comuni rinnovabili” si concentra sull’esempio della Ccer

[30 Maggio 2016]

Come ormai è consuetudine da quattro anni a questa parte, l’ultimo rapporto Comuni rinnovabili di Legambiente torna ad approfondire il ruolo esercitato in Italia dalle “comunità dell’energia”, definite come quelle realtà dove cooperative, aziende, amministrazioni pubbliche, privati cittadini hanno promosso innovazioni energetiche che vanno nella direzione dell’autoproduzione da fonti rinnovabili e che aprono la strada verso l’autonomia energetica: realtà, più in generale, dove il nuovo scenario della generazione distribuita passa spesso attraverso una gestione innovativa delle reti elettriche e di calore.
In quest’ottica, Legambiente presenta l’esperienza della Comunità del cibo a energie rinnovabili come di «assoluto interesse», dedicandole un ampio approfondimento.

Come noto, la Ccer è nata nel 2009 grazie ad un’intesa tra Cosvig, Slow food Toscana, Fondazione Slow food per la biodiversità ed un gruppo di  aziende (ad oggi sono 17 quelle che, a vario titolo, ne fanno parte) che si sono poste come priorità quella della sostenibilità ambientale. Produttori che si impegnano ad usare nei propri processi energia elettrica o termica proveniente in maniera “prevalente” (ovvero almeno il 50%) da fonte rinnovabile. Inoltre, materie prime provenienti esclusivamente dal territorio toscano, filiera cortissima, ed abbiano sede produttiva all’interno della Regione Toscana.
Tra le aziende che compongono la Ccer, Legambiente cita tre esempi in particolare per illustrarne la natura.
All’interno del rapporto ci si sofferma dunque sulla cooperativa sociale Parvus Flos –con tre sedi nei Comuni di Radicondoli (SI), Monterotondo Marittimo (GR) e Castelnuovo Val di Cecina (PI)– che produce fiori e piante con metodo biologico, utilizzando il calore geotermico per il riscaldamento delle serre, per un fabbisogno termico pari a circa 9.500 MWht/anno; grazie alla geotermia, infatti, viene soddisfatto il 96% delle necessità termiche aziendali per un risparmio pari a 810 tonnellate equivalenti di petrolio l’anno.

Legambiente passa dunque in rassegna l’esempio del Caseificio Podere Paterno (situato nel Comune di Monterotondo Marittimo, in provincia di Grosseto), che, al fine di garantire la copertura di 16 MWh/anno di elettricità per alimentare le celle frigorifere, i macchinari e l’illuminazione e di circa 280 MWh/anno di calore per la pastorizzazione ha deciso di investire nell’energia geotermica e fotovoltaica soddisfare i propri fabbisogni. L’energia geotermica copre il 95% della domanda energetica totale, con una riduzione in atmosfera di circa 60 t/anno di CO2.

Altra esperienza è quella dell’Azienda biologica Poderina Toscana, nel Comune di Castel del Piano (GR), alle pendici del Monte Amiata e produttrice di olio Igp e vino Docg. Al fine di garantire la copertura dei propri fabbisogni energetici (struttura e processo produttivo) si è dotata di un impianto fotovoltaico da 19,8 kW in grado di produrre circa 25.000 kWh a fronte di circa 18.000 kWh di consumo annuo. L’energia in eccesso viene immessa in rete e remunerata con la modalità dello scambio sul posto. La quota di energia consumata nello stesso istante in cui viene prodotta si attesta sul 25% circa, mentre una caldaia a biomassa -alimentata dal nocciolino di oliva prodotto dall’azienda stessa- contribuisce a fornire il calore necessario al processo produttivo. Il tutto si traduce anche in benefici in bolletta con percentuali di risparmio superiori al 30% e variabili a seconda dei singoli casi. Un “assoluto interesse” anche dal punto di vista economico, oltre che ambientale.