Nel frattempo il Paese si surriscalda a velocità doppia rispetto alla media globale, mentre gli eventi meteo estremi sono decuplicati rispetto al 2008

La crisi climatica non morirà di coronavirus, neanche in Italia

Nel 2019 gas climalteranti in calo tra lo 0,5 e l’1% , e dalla pandemia arriveranno solo effetti a breve termine. Ronchi: «Non è in corso un reale processo di riduzione delle emissioni serra»

[24 Marzo 2020]

La guerra intrapresa contro la pandemia da coronavirus si profila più lunga e più dolorosa di quanto fosse immaginabile solo poche settimane fa, ma non sarà quest’emergenza a ridimensionare i rischi della crisi climatica (ancora) in corso. Come spiega Edo Ronchi, già ministro dell’Ambiente e oggi presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, secondo «le stime di Carbon Brief, in Cina, il principale Paese emettitore e primo responsabile dell’aumento delle emissioni globali di gas serra degli ultimi due decenni, in queste settimane (a Wuhan la quarantena è iniziata il 23 gennaio e finirà il 3 aprile, ndr) le emissioni si sarebbero ridotte di circa un quarto. Una dinamica simile potrebbe ripetersi anche in Italia, ma i dati aggiornati fino al dicembre del 2019 elaborati da Italy for Climate ci mostrano emissioni praticamente stazionarie da circa sei anni. Questo significa che non è in corso un reale processo di riduzione delle emissioni serra».

L’anteprima della fotografia dell’Italia del clima è contenuta nel Rapporto “10 key trend sul clima – i dati 2019 in anteprima per l’Italia”, realizzato da Italy for Climate su iniziativa della Fondazione per lo sviluppo sostenibile, e non porta buone notizie neanche per quanto riguarda il recente passato. Come riporta il dossier nel 2019 le emissioni di gas serra in Italia «si sono attestate a circa 423 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (MtCO2eq), tra 0,5 e 1% in meno rispetto all’anno precedente», una riduzione assolutamente non in linea con i target 2030: al momento il Piano nazionale clima ed energia (Pniec) prevede un taglio del 37% delle nostre emissioni rispetto al 1990 (ad oggi siamo a -19%), ma gli obiettivi imposti dall’Accordo sul clima di Parigi e fatti propri dall’Ue impongono di arrivare a -50%. Tutto questo però non sta avvenendo, anzi: in Italia «il taglio delle emissioni è passato da oltre 17 MtCO2eq/anno nel 2005-2014 a poco più di mezzo milione di tonnellate dal 2014 a oggi», mentre nel prossimo decennio siamo chiamati a tagliare «in media quasi 15 MtCO2/anno» aumentando gli sforzi del 40%.

Anche la crescita della produzione elettrica da energie rinnovabili negli ultimi 6 anni in Italia «è stata molto bassa, appena il 3% contro il 24% della media europea». Nel 2019 l’Italia ha perso così la storica leadership in favore della Germania, che ha raggiunto «il 41,5% di produzione elettrica da rinnovabili contro il 40,5% dell’Italia». Per rimettere il Paese in carreggiata dal punto di vista climatico non possiamo fare affidamento neanche sulle deleterie conseguenze economiche che la pandemia sta già iniziando a prospettare. «La storia – osserva Ronchi – ci insegna che in assenza di tale processo e di interventi tempestivi per indirizzare la ripresa, dopo una crisi economica grave e un calo significativo delle emissioni queste potrebbero tornare a crescere come e forse anche più di prima. Come ci dimostrano i dati dell’ultima grande crisi finanziaria: nel 2009 un calo del Pil globale di circa l’1,7% si è tradotto in un calo delle emissioni dell’1,2%, ma già l’anno successivo con un Pil a +4,3% le emissioni sono rimbalzate a +5,8%».

Nel frattempo, l’Italia si conferma uno dei Paesi europei più esposti ai rischi della crisi climatica: «Oggi viviamo in un Paese più caldo di circa 1,7°C rispetto all’inizio degli anni ’80 contro una media globale di +0,7°C», e in media «negli ultimi anni il trend registrato in Italia è di circa +0,4°C per decade, oltre il doppio di quanto rilevato a scala globale». Al contempo nel 2019 «gli eventi estremi connessi alla crisi climatica sono stati oltre 1.600, oltre dieci volte quelli registrati nel 2008. Solo nel 2019 sono aumentati del 60%». Per farvi fronte occorre intraprendere un percorso di dercabonizzazione della nostra economia che sia strutturale: il famoso Green new deal, che rappresenta al contempo l’orizzonte più adatto all’interno del quale incentrare l’enorme mole di investimenti (pubblici e privati) necessaria sia per superare sia la depressione economica da coronavirus sia l’ancor più seria minaccia dovuta alla crisi climatica.