L’analisi dell’economista ecologico Herman Daly sull’attuale politica monetaria

La Fed, il tasso di interesse naturale negativo e la crescita anti-economica

Ieri la Federal reserve ha aumentato dello 0,25% il tasso di interesse base negli Usa, ma rimaniamo in una situazione eccezionale

[17 Dicembre 2015]

In un discorso tenuto presso il Fondo monetario internazionale, l’economista Larry Summers sosteneva che i tassi di interesse prossimi allo zero non hanno saputo stimolare la crescita del Pil in una misura sufficiente da raggiungere la piena occupazione, pertanto occorrerebbe verosimilmente applicare un tasso di interesse negativo. Con questo concetto, egli intende un tasso monetario negativo fissato dalla Fed per bilanciare il tasso “naturale”, che egli ritiene essere negativo. Con l’espressione “tasso naturale”, Summers intende quel tasso che bilancerebbe i risparmi previsti con gli investimenti pianificati, e quindi, come insegna Keynes, consentirebbe di ottenere la piena occupazione. In presenza di tassi monetari prossimi allo zero, l’inflazione attuale ci spinge già verso un tasso di interesse reale negativo, tuttavia tale quadro non è ancora sufficientemente negativo, secondo l’opinione di Summers, da bilanciare gli investimenti previsti con i risparmi pianificati e, quindi, stimolare la crescita del Pil in modo tale da promuovere la piena occupazione. Un tasso di interesse negativo è una proposta alquanto sorprendente e la comprensione delle relative implicazioni richiede sicuramente un certo sforzo.

Supponiamo per un momento che la crescita del Pil, ossia quella che noi definiamo scontatamente crescita economica, comporti una crescita antieconomica attraverso una misurazione più completa dei costi e dei benefici – che la crescita del Pil abbia iniziato a determinare un aumento dei costi conteggiati e non conteggiati mediante molto più dei benefici conteggiati e non conteggiati, rendendoci complessivamente più poveri, anziché più ricchi. Se questo è il caso, e vi sono buone ragioni per credere che sia così, non sarebbe quindi ragionevole aspettarsi, secondo le teorie di Summers, che il tasso di interesse naturale sia negativo, così come il tasso monetario?

È difficile immaginare questo scenario, ma ciò significa che i risparmiatori dovranno pagare gli investitori (e le banche) per utilizzare le somme che hanno risparmiato, anziché essere gli investitori e le banche a pagare i risparmiatori per l’utilizzo del loro denaro. Per fare in modo che il Pil cresca in misura sufficiente da evitare la disoccupazione, occorrerebbe un maggiore flusso monetario, il quale richiederebbe maggiori investimenti, i quali, a loro volta, sarebbero fattibili solo in presenza di tassi di interesse monetari negativi (ad esempio, quando gli investimenti comportano una perdita inferiore di denaro rispetto alla semplice conservazione). Un tasso di interesse negativo “ha senso” se l’obiettivo consiste nella crescita costante del Pil, benché questa situazione ci stia rendendo più poveri e ormai la crescita ci abbia già spinto oltre il dimensionamento ottimale della macroeconomia nei confronti all’ecosfera che ci circonda, diventando così antieconomica.

Un tasso di interesse monetario negativo implica che i cittadini tendono a spendere anziché a risparmiare, pertanto vengono a mancare i risparmi necessari per finanziare gli investimenti che determinano la crescita del Pil quale presupposto fondamentale per la piena occupazione. Il denaro per gli investimenti proviene quindi dalla Fed. Il cosiddetto “quantitative easing” (creazione di moneta) costituisce la nuova fonte di denaro. Si è convinti che la continua circolazione monetaria sarà in grado di trainare l’economia reale, apportando un incremento del reddito reale e dei posti di lavoro, trovando un impiego alle risorse precedentemente inattive. Tuttavia, la crescita del Pil che ne consegue è ormai antieconomica, poiché a livello globale, le risorse “inattive” non sono realmente tali dal punto di vista pratico: esse, infatti, forniscono servizi ecosistemici vitali. Il reimpiego di queste risorse per la crescita del Pil avrebbe costi – in termini di ambiente e società – maggiori rispetto ai vantaggi produttivi. Sebbene i macro-economisti iper-keynesiani non ne siano convinti, i micro-attori dell’economia reale subiscono i vincoli del mondo globale, e di conseguenza, si adattano con difficoltà al modello di crescita illimitata.

Summers (insieme ad altri economisti tradizionalisti della crescita) non accetta il concetto di dimensionamento ottimale della macro-economia, né la possibilità di una crescita antieconomica, nel senso che un aumento della produzione delle risorse potrebbe determinare una riduzione dei redditi netti e del livello di benessere. Ciononostante, il suo punto di vista è in linea con le teorie in materia di tassi di interesse naturali negativi.

Un tasso di interesse positivo limiterebbe il volume totale degli investimenti, tuttavia li assegnerebbe ai progetti più produttivi. Al contrario, un tasso di interesse negativo ne aumenterebbe il volume, ma consentirebbe di destinare gli investimenti a qualunque progetto, aumentando la probabilità di una crescita antieconomica. Dovremmo quindi diventare iper-keynesiani e promuovere la crescita del Pil per mantenere la piena occupazione, benché la crescita sia ormai diventata antieconomica? Oppure dovremmo fare un passo indietro e ricercare la piena occupazione attraverso la condivisione delle opportunità lavorative, una distribuzione dei beni più equa e la riallocazione della liquidità a favore delle strutture ricreative e dei beni pubblici?

Perché dovremmo permettere alla crescita di portare la macro-economia oltre il dimensionamento ottimale? Perché la crescita del Pil è considerata il sommo bene, ed è un’eresia sostenere il contrario. Se la crescita del Pil peggiora la nostra situazione, noi non lo ammettiamo, ma siamo disposti ad adattarci a una maggiore povertà in nome di una costante crescita del Pil. La non-crescita viene percepita come una “stagnazione”, anziché come un ragionevole stato stazionario di adattamento ai limiti oggettivi. Stimolare la crescita del Pil attraverso un incremento dei consumi e degli investimenti e una riduzione dei risparmi è l’unica soluzione concepita dagli iper-keynesiani per raggiungere l’obiettivo di una piena occupazione. Ovviamente, vi sono alcune alternative: ciascuno deve concretamente risparmiare per la propria sicurezza e in vista della vecchiaia, nonché per il mantenimento e l’integrazione del capitale esistente. Tuttavia, la Fed tende a penalizzare l’attitudine al risparmio con un tasso di interesse negativo. L’attenzione si concentra così sui requisiti del modello di crescita, anziché sulle esigenze dei singoli individui.

Un tasso di interesse negativo sembra essere l’ultima proposta avanzata da Paul Krugman, il quale loda le intuizioni di Summers. Ciò è comprensibile dal loro punto di vista, poiché, nella loro visione, l’economia non è intesa come un sottosistema, oppure, se lo è, rappresenta una realtà microscopica rispetto al sistema totale. L’economia può espandersi per sempre, sia nel vuoto, sia in un ambiente virtualmente infinito. Non cresce all’interno di un’ecosfera finita, pertanto non presenta alcun dimensionamento ottimale nei confronti di un ipotetico ambiente che la circonda e la sostenta. La sua crescita aggregata non deve sostenere alcun costo-opportunità e non può mai essere antieconomica. Purtroppo, il presupposto stesso del modello di crescita è decisamente errato.

Larry Summers e altri economisti della crescita sottolineano l’importanza dei tassi di interesse negativi.

Benvenuti nell’economia da “mondo pieno”. Nella vecchia economia da “mondo vuoto”, teorizzata nei macro-modelli di Summers e Krugman, la crescita rimane sempre economica, cosicché essi invocano la creazione continua di denaro per far crescere l’economia e inglobare sempre più le risorse e i bacini inutilizzati dell’ecosistema. Se da una parte una trappola temporanea della liquidità o i tassi di interesse con limite inferiore pari a zero impediscono che il denaro venga speso, dall’altra i tassi di interesse monetari bassi o addirittura negativi apriranno il rubinetto della spesa. La teoria del mondo vuoto garantisce che la produzione in via di sviluppo avrà sempre un valore superiore rispetto alla ricchezza naturale rimpiazzata. Tuttavia, ciò che valeva nel mondo vuoto di ieri non vale più nel mondo pieno di oggi.

Questa è una prospettiva sconvolgente per gli economisti della crescita – la crescita è necessaria per la piena occupazione, ma la crescita ora ci rende complessivamente più poveri. Senza crescita dovremmo risolvere la questione della povertà ridistribuendo la ricchezza e stabilizzando la popolazione, due anatemi politici, e potremmo finanziare gli investimenti unicamente mediante la riduzione dei consumi attuali, un terzo anatema. Rimane la politica microeconomica, la quale prevede la ridistribuzione dello stesso Pil tra un mix più efficiente di prodotti attraverso l’interiorizzazione dei costi esterni (a prezzi giusti). Queste misure andrebbero certamente adottate, tuttavia non si tratterebbe della crescita macroeconomica perseguita dalla Fed.

Queste scelte dolorose potrebbero essere evitate se solo fossimo più ricchi. Pertanto concentriamoci sull’incremento della ricchezza. Come? Incrementando il Pil complessivo, ovviamente! Che cosa? State dicendo che la crescita del Pil è ormai antieconomica? Tutto ciò non può essere vero, dicono loro. Va bene, siamo di fronte a una questione empirica. Separiamo i costi dai vantaggi nel Pil esistente e sviluppiamo sistemi di misurazione più ampi per calcolare entrambi i valori, infine verifichiamo quale dei due cresce maggiormente di pari passo con il Pil. Questo esperimento è già stato effettuato (Isew, Gpi, impronta ecologica…), e i risultati supportano la teoria della crescita antieconomica. Se gli economisti della crescita ritengono che questi studi siano stati condotti in modo approssimativo, dovrebbero tentare di fare di meglio, piuttosto che ignorare il problema.

I keynesiani rimanenti hanno ragione a sottolineare la presenza di manodopera e capitale non impiegati. Tuttavia, le risorse naturali vengono pienamente utilizzate, anzi eccessivamente sfruttate, e il fattore limitante nel mondo pieno è rappresentato dalle risorse naturali, non dalla manodopera o dal capitale come avveniva nel mondo vuoto. Alcuni economisti della crescita ritengono che il mondo sia ancora vuoto. Altri pensano che non vi sia alcun fattore limitante – che il capitale sia un buon sostituto delle risorse naturali. Tutto ciò è sbagliato, come Nicholas Georgescu-Roegen ha già dimostrato in passato. I fondi di capitale e i flussi di risorse naturali sono complementari, non sostituti, e l’elemento che scarseggia costituisce un fattore limitante. L’aumento di un fattore non limitante non è di alcun aiuto. Gli economisti della crescita dovrebbero saperlo bene.

Benché i teorici della crescita pensino che il quantitative easing stimolerà la domanda, non nascondono una certa delusione, anche per quanto riguarda il loro stesso modello, poiché le banche, che dovrebbero prestare il denaro, si imbattono nella “mancanza di progetti finanziariamente sostenibili”, per usare la terminologia della Banca mondiale. Questo, naturalmente, dovrebbe essere previsto nella nuova era di crescita antieconomica. Il denaro introdotto, invece di richiamare nuova ricchezza impiegando tutte queste ipotetiche risorse inutilizzate dall’era del mondo vuoto, semplicemente rilancia i prezzi dei beni esistenti nel mondo pieno. La maggior parte dei prezzi dei beni non viene conteggiata nell’indice dei prezzi al consumo(per non parlare dell’esclusione di prodotti alimentari ed energia), pertanto gli economisti sostengono senza troppa convinzione che il quantitative easing  non abbia generato spinte inflazionistiche, e quindi si sentono legittimati a continuare su questa strada. E, qualora il quantitative easing provocasse obiettivamente una lieve inflazione, ciò contribuirebbe a rendere il tasso di interesse negativo.

Con l’eccezione dei saldi operativi elettronici necessari, i consumatori non terrebbero i soldi in banca, se il tasso di interesse fosse negativo. Per spingerli a farlo, l’alternativa della liquidità dovrebbe essere sostanzialmente eliminata e tutto il denaro dovrebbe tramutarsi in depositi bancari elettronici. Ciò intensificherebbe il controllo della banca centrale, nonché lo spettro del cosiddetto “bail-in” (confisca dei depositi), come è accaduto a Cipro. Benché aumenti la diffidenza nei confronti del denaro, il ritorno immediato al baratto appare improbabile, nonostante i tassi di interesse negativi. Il baratto è talmente svantaggioso che il denaro conserva maggiormente la sua efficienza benché perda rapidamente valore, come abbiamo osservato in diversi casi di iperinflazione.

Tuttavia, i saldi operativi saranno minimizzati, e ogni speculazione o tesaurizzazione sarà deviata verso il settore immobiliare, l’oro, le opere d’arte, i bulbi di tulipano, Bitcoin e giocattoli, creando così bolle speculative. Ma non c’è motivo di preoccuparsi, secondo Summers e Krugman, le bolle sono un mezzo necessario, benché deplorevole, per aumentare la spesa e la crescita nell’era dei tassi di interesse naturali negativi recentemente riconosciuti – e una crescita antieconomica non ancora riconosciuta.

Un raggio di luce argentea in mezzo a questa nube di confusione consiste nel fatto che il riconoscimento di un tasso di interesse naturale negativo potrebbe essere il preludio al riconoscimento della crescita antieconomica alla base di questa situazione. Di sicuro ciò non è ancora avvenuto, poiché finora il tasso di interesse naturale negativo è stato inteso come un fattore in grado di spingere la crescita in presenza di un tasso di interesse monetario negativo, anziché come un segnale che ci faccia capire come la crescita rappresenti ormai una sfida persa. Questa prospettiva costituisce una ragionevole speranza. Forse un passo in questa direzione è rappresentato dal suggerimento di Summers secondo cui la vecchia teoria della stagnazione secolare di Alvin Hansen meriterebbe una nuova analisi.

La logica che supporta l’interesse negativo suggerisce anche il ricorso a salari negativi come ulteriore mezzo per incrementare gli investimenti abbassando i costi. Per mantenere la piena occupazione attraverso la crescita del Pil, non solo il tasso di interesse deve ora essere negativo, ma anche i salari dovrebbero diventare negativi.

Finora, nessuno ha sostenuto la teoria dei salari negativi, poiché la sussistenza rappresenta uno svantaggioso valore minore positivo al di sotto del quale i lavoratori muoiono. “Dall’ altro lato dello specchio” la logica della crescita antieconomica ci spinge nella direzione di un salario negativo “naturale”, proprio come i tassi di interesse “naturali” negativi. Quindi, abbassiamo artificialmente i costi salariali a favore dei “datori di lavoro”, sostenendo i costi dei salari al di sotto della soglia di sussistenza con buoni pasto, sussidi per la casa e tirocini non retribuiti. I tassi di interesse negativi sovvenzionano altresì gli investimenti destinati ai beni strumentali che sostituiscono il lavoro, abbassando ulteriormente i salari. I tassi di interesse negativi e i salari al di sotto della soglia di sussistenza supportano ulteriormente la crescita antieconomica che, in primo luogo, ha dato origine a questi stessi fattori.

I keynesiani rimanenti ci dicono, abbastanza ragionevolmente, che è meglio pagare delle persone per scavare buche nel terreno e poi riempirle piuttosto che lasciarle disoccupate senza reddito. Tuttavia, è sicuramente peggio pagare delle persone per sfruttare fino all’esaurimento e inquinare le risorse del Creato da cui dipendono la nostra vita e il nostro benessere, al fine di espandere la macro-economia oltre il proprio dimensionamento ottimale o addirittura sostenibile, piuttosto che dare loro un reddito minimo e del tempo libero, purché non facciano niente di male.

Un tasso di interesse monetario artificiale forzatamente diminuito dal quantitative easing per bilanciare un tasso di interesse naturale negativo derivante dalla crescita antieconomica non rappresenta una valida soluzione. È solo una toppa, ma è l’unica idea finora proposta dai nostri economisti più brillanti tuttora imprigionati nel modello di crescita del mondo vuoto.

L’unico modo per uscire da questa trappola è riconoscere che l’era della crescita è finita e, invece di forzare la crescita verso il baratro dell’antieconomia, dovremmo cercare di mantenere un’economia di stato stazionario prossima al dimensionamento ottimale. Dal momento che abbiamo ormai oltrepassato il dimensionamento ottimale della macro-economia, sarà necessario adottare delle misure contenitive di riduzione, accompagnate da una ripartizione più equa, frugalità ed efficienza. Condividere significa stabilire dei limiti alla varie forme di disuguaglianza che abbiamo tollerato sinora: questo atteggiamento presenta enormi vantaggi morali e sociali, benché appaia difficile dal punto di vista politico. La frugalità implica una riduzione della produzione di beni e determina una diminuzione dei consumi e dell’inquinamento e, contemporaneamente, un aumento del riciclaggio e dell’efficienza. Efficienza significa ricavare il massimo del supporto e della soddisfazione da un determinato volume di produzione grazie al progresso tecnologico e al miglioramento delle nostre priorità etiche. Gli economisti dovrebbero sostituire la neoclassica teoria keynesiana della crescita con una nuova versione della dottrina classica dello stato stazionario.

Da CASSE. Traduzione a cura di Valentina Legnani, Valentina Legnani Traduzioni