Le risorse naturali dentro il carrello della spesa: ecco come cambiano i consumi italiani

Eurostat, aumenta la produttività delle risorse ma rimangono molti punti oscuri

[8 Luglio 2016]

L’Istat ha pubblicato il suo ultimo rapporto sulle spese per consumi delle famiglie italiane, stabilendo che questi nell’ultimo anno sono tornati a crescere, sebbene di pochissimo. La spesa mediana mensile – più interessante della trilussiana media – è arrivata a 2.143,71€, ovvero appena 33,24€ in più (a famiglia) rispetto al 2014. Per quanto piccola, è comunque un’inversione di tendenza rispetto al calo degli ultimi anni. Torna a salire la spesa alimentare, mentre rimane sostanzialmente stabile la spesa per beni e servizi non alimentari. A non cambiare sono invece le disuguaglianze, e non solo a livello territoriale. Nelle isole la spesa mediana delle famiglie risulta 1.604,19€, contro i 2.421,67€ del nord-est; le famiglie di soli stranieri spendono in media 1.532,66€ al mese, quelle in cui la persona di riferimento è in cerca di occupazione 1.800€, che diventano 3.585,20€ in caso di imprenditori e liberi professionisti.

I tempi di magra sono ancora lontani da finire, e molto difficilmente (e per fortuna) una volta terminati ci lasceranno di nuovo al punto in cui la crisi è iniziata. Non dobbiamo comunque dimenticare da dove siamo partiti. Nell’indagine Coop “Un secolo di italiani”, anch’essa pubblicata ieri, si ripercorre a sommi tratti la lunga metamorfosi degli italiani nell’ultimo secolo. «L’italiano medio da povero, sottonutrito, analfabeta e contadino (nel 1901 la spesa annua procapite era pari a 1600 euro annuali -140 euro mensili – un decimo dei consumi di oggi) ha  raggiunto soprattutto dopo la seconda guerra mondiale maggiori livelli di benessere e una maggiore agiatezza: se ancora negli anni Sessanta i consumi erano compressi sotto i 5000 euro annui (417 euro al mese a persona) la crescita è continuata costante toccando i 10.000 euro del 1979 (833 euro a testa) e finanche gli oltre 17.000 euro  nel 2010 (1417 euro a testa)  per poi scendere ai  15.700 euro dell’anno scorso (1.308 euro a testa) complice la grande depressione che dal 2008 si è abbattuta sull’Europa e ha avuto negli anni successivi inevitabili ripercussioni».

Con tali conseguenze cin confrontiamo tutti, tutti i giorni. Nonostante l’incredibile livello di dettaglio raggiunto nel descrivere minuziosamente i nostri consumi, il livello del dibattito continua a fermarsi al livello del portafogli. Difficilmente vediamo all’interno del nostro carrello della spesa il risvolto della medaglia, l’enorme quantità dei flussi di materia ed energia necessari a sostenere il nostro stile di vita.

E non si tratta qui “soltanto” della gestione degli scarti, che pure sono tornati a crescere in Italia – sia i rifiuti urbani, sia i rifiuti speciali. Se si vuole conoscere la sostenibilità dei nostri consumi è necessario non guardarne la fine, ma risalire all’inizio dei processi produttivi. Ai campi coltivati, alle miniere.

L’Unione europea, tramite Eurostat, si è appena preoccupata di fornirci qualche dato aggiornato in proposito. Nel corso dell’ultimo anno la produttività delle risorse nell’Ue è arrivata a 2,00€/kg, il 35,4% in più rispetto al 2000. Questo significa che, mentre il Pil è continuato ad aumentare (fatto 100 quello del 2000, nonostante la crisi nel 2015 l’Ue ha tagliato quota 120,3), la quantità di materiali incorporati nei beni che produciamo, utilizziamo e consumiamo (il Dmc, Domestic material consumption) è diminuita.

Si tratta di un dato positivo, in cui l’Italia primeggia nel contesto europeo. Ogni abitante Ue consuma in media13,2 tonnellate di risorse l’anno (misurate in Dmc), e nel nostro Paese la produttività delle risorse è infatti aumentata dell’85,4% rispetto al 2000, arrivando ben oltre la media Ue (a 3,04€/kg). E anche se il Pil italiano del 2015 è più basso rispetto a quello di quindici anni fa (dello 0,5%), il Dmc è diminuito molto di più (-46,4%). Possiamo dunque rasserenarci, consapevoli che la nostra economia sta finalmente iniziando a rispettare i limiti imposti dal pianeta che tutti abitiamo? Purtroppo no: il tempo a nostra disposizione passa inesorabile, mentre il lavoro da compiere rimane durissimo.

La produttività delle risorse è influenzata da moltissimi fattori. Inoltre, è necessario sapere che il Dmc non dice tutto. Altri indicatori come l’Rmi (Raw material input) o l’Rmc (Raw material consumption) esprimono assai meglio la complessità delle risorse naturali macinati dall’economia, e guardano a tutte le materie prime coinvolte nei processi produttivi: ampliando lo spettro le cifre si gonfiano circa di un terzo (del 28% circa nel 2013), il che significa milioni di tonnellate in più. Lo stesso possiamo dire per le emissioni di gas serra legate alle attività umane. Si tratta di un approccio che riguarda tutti, gli esempi sono infiniti. Come quello portato da Gianni Silvestrini, che spiega: «In Olanda, mentre l’uso delle materie prime interne (Domestic materials consumption) è calato di circa un sesto tra il 2008 e il 2012, nello stesso periodo il volume totale delle materie utilizzate, includendo quelle importate (Raw materials consumption), è aumentato del 4%». Perché dunque l’Ue si ostina ad utilizzare indicatori come il Dmc? Semplicemente perché non siamo ancora di contare bene il resto. L’Rmc rientra tra gli indicatori “desiderati” all’interno della strategia Ue “Per un utilizzo efficiente delle risorse”, ma sono necessari ulteriori sviluppi per armonizzare i relativi risultati.

Nel mentre però il mondo non si ferma, e neanche lo fanno i nostri consumi. Le risorse naturali diminuiscono nel mondo, più velocemente di quanto la natura riesca a ricrearne. L’estrazione globale delle risorse è aumentata del 65% solo tra il 1980 e il 2007, e se oggi è pressoché stabilizzata nei paesi Ocse, continua a crescere nei “mercati emergenti” tanto da far stimare all’Agenzia europea per l’ambiente un nuovo raddoppio al 2030. Una linea che si incrocia pesantemente – ancora una volta – con quella tracciata dalle disuguaglianze. Come ad ogni problema complesso, non c’è una risposta semplice. Ignorarlo non porterà però a nessuna soluzione, e anche l’Italia non sfugge a questo paradosso. Nonostante i discreti risultati raggiunti negli ultimi anni, il Paese non ha nessuna strategia nazionale in merito all’utilizzo efficiente delle risorse. Non possiamo permettercelo.