L’ex premier Renzi (ri)lancia il “lavoro di cittadinanza”, ma ha scelto il Jobs act

Già nel 2012 il sociologo Luciano Gallino propose un’Agenzia per l’occupazione, nel 2014 Sel avanzò la proposta di legge per un Green new deal: strade sempre ignorate dal governo

[27 Febbraio 2017]

«Serve un lavoro di cittadinanza». Di ritorno dal viaggio in California, modello di futuro secondo Matteo Renzi, l’ex premier spinge il dibattito politico verso una dialettica “nuova”. Riflettendo su come contrastare la disoccupazione tecnologica, sulle pagine de Il Messaggero Renzi osserva che «garantire uno stipendio a tutti non risponde all’articolo 1 della nostra Costituzione che parla di lavoro non di stipendio. Il lavoro non è solo stipendio, ma anche dignità. Il reddito di cittadinanza nega il primo articolo della nostra Costituzione». Meglio dunque puntare sul “lavoro di cittadinanza”, concetto ribadito ieri sera nell’ultima puntata di Che tempo che fa.

Che cosa rappresenti concretamente questo “lavoro di cittadinanza”, almeno per il momento, non è a dato sapere. Visti i pregressi su altri fronti, è possibile che non si saprà mai: il “Green act”, presentato a gennaio 2015 dal premier Renzi come chiave di volta per lo sviluppo sostenibile italiano (e ancora oggi citato nei più importanti documenti economici nazionali) non è mai arrivato.

Tuttavia, i problemi cui il “lavoro di cittadinanza” dovrebbe rispondere non sono destinati ad eclissarsi altrettanto rapidamente, e che anche l’ex premier abbia finalmente deciso di occuparsene rappresenta una buona notizia. Materiale da cui prendere spunto non manca.

Da una parte ci sono i fautori del “reddito di cittadinanza”, ovvero un reddito da assegnare a qualunque cittadino indipendentemente dalle sue condizioni di reddito: una proposta radicale che scardinerebbe l’attuale modello sociale, fondato sul lavoro, ma che conquista crescenti consensi (anche all’interno della Banca mondiale).

I promotori di un “reddito minimo” avanzano invece la proposta di un integrazione al reddito (personale o familiare) da erogare a quanti non raggiungano una determinata soglia minima, da accompagnarsi ad altre iniziative (ad esempio, formazione volta alla riqualificazione professionale del soggetto). Sotto questo profilo la proposta più onerosa – già dettagliata sottoforma di pdl – per le casse dello Stato è quella avanzata da Sel, che costerebbe circa 23,5 miliardi di euro l’anno (circa l’1,44% del Pil).

Stupirà Renzi, ma anche il fronte del “lavoro di cittadinanza” o del “lavoro minimo garantito” è già piuttosto nutrito in Italia. Tra i suoi padri intellettuali spicca l’eminente e compianto sociologo Luciano Gallino, che sulle pagine di greenreport già nel 2012 spiegò la proposta di un’Agenzia per l’occupazione, volta a creare 1 milione di posti di lavoro. Una proposta che venne ulteriormente raffinata in una proposta di legge nel 2014: orizzonte, la creazione di 1,5 milioni di posti di lavoro verdi e sostenibili, nell’ambito di un Green New Deal italiano.

Il resto è storia. Il governo Renzi, entrato in carica proprio nel 2014, non ha mai appoggiato né l’idea di un reddito di cittadinanza o di un reddito minimo, né tantomeno quella di un lavoro di cittadinanza: ha preferito il Jobs act, che a fronte dei costi per la decontribuzione delle imprese che potrebbero infine arrivare a sfiorare i 20 miliardi di euro ha prodotto effetti sul mercato del lavoro fumosi quanto già declinanti.