L’innovazione che manca in Italia per rinnovabili e tecnologie low carbon

Bassa spesa in R&S e pochi brevetti condannano il Paese a importare dall’estero il necessario per la transizione ecologica: urge un cambio rotta per dare ossigeno all’industria green sul territorio

[6 Maggio 2020]

Mentre la quota italiana di consumi energetici coperti da fonti rinnovabili continua a oscillare da tre anni intorno al 18%, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) prevedrebbe già per l’anno in corso di raggiungere il 19%, per poi arrivare a quota 30% nel 2030 (anche grazie all’attesa di un forte calo dei consumi): significa aggiungere circa 10 milioni di Tep di rinnovabili in dieci anni, a fronte di un aumento di circa 2-3 milioni di Tep nei sette anni trascorsi dalla Sen 2013 (al netto della revisione del consumo di biomassa).

Come spiegano su Rivista Energia gli esperti Enea – che ha appena pubblicato la sua ultima Analisi trimestrale del sistema energetico italiano – Francesco Gracceva, Bruno Baldissara, Alessandro Zini, Daniela Palma, con tutta probabilità dunque le previsioni del Pniec non collimeranno con la realtà neanche nell’anno della sua pubblicazione, e se gli attuali trend non cambieranno sarà difficilissimo colmare il gap al 2030.

Ma un ulteriore e grave problema, che non sempre viene messo a fuoco, riguarda la competitività dell’Italia negli scambi internazionali delle tecnologie energetiche low-carbon, che continua a peggiorare. Ovvero, il nostro sistema industriale non sta tenendo il passo con l’innovazione richiesta per traguardare la transizione ecologica, e questo porta a una crescente dipendenza dall’estero.

«Relativamente alla competitività dell’Italia negli scambi internazionali delle tecnologie energetiche a basse emissioni di carbonio (fotovoltaico, veicoli elettrici e ibridi, accumulatori, solare termico, eolico), dal 2015 al 2019 il saldo normalizzato italiano evidenzia una sempre maggiore dipendenza dalle importazioni – spiegano i ricercatori Enea – Nei primi dieci mesi del 2019 l’indicatore si è collocato a –0,53, dunque un valore negativo piuttosto elevato. Particolarmente critico appare il posizionamento nella mobilità a basse emissioni (–0,97 per veicoli ibridi, –0,89 quelli elettrici), con un saldo negativo di 1,53 miliardi di dollari, un valore tale da incidere anche sulla bilancia commerciale del Paese. Parimenti, l’indice di vantaggio comparato rivelato, che misura il grado di specializzazione delle esportazioni, segna un valore di gran lunga inferiore a 1, in costante peggioramento dal 2012».

Anche le quote italiane sul totale mondiale dei brevetti nelle tecnologie energetiche per la mitigazione climatica «risultano stabilmente e significativamente inferiori a quelle rilevate per il totale dei brevetti», pur con le variabili del caso: mentre le quote relative all’insieme delle tecnologie per la generazione, trasmissione e distribuzione dell’energia sono «più in linea col complesso dell’attività innovativa nazionale, si registra una sostanziale de-specializzazione nell’area della mobilità sostenibile e al contrario una specializzazione nelle tecnologie per l’efficienza energetica degli edifici».

Come mai? Le criticità di fondo «sono riconducibili – argomentano i ricercatori – alla scarsa entità della complessiva spesa in Ricerca & Sviluppo (R&S) nel campo dell’energia (in rapporto al PIL) e alla non meno rilevante debolezza rilevata attraverso le domande di brevetto. È significativo ad esempio che sia la SEN 2017 sia il PNIEC 2019 ribadiscano l’impegno a raddoppiare tra il 2013 e il 2021 il finanziamento pubblico alla ricerca in settori ritenuti strategici per la transizione energetica (principalmente efficienza energetica, fonti rinnovabili, tecnologie di conversione, trasmissione, distribuzione e stoccaggio di energia elettrica) partendo da un valore base di 222 milioni euro (nell’ambito dell’iniziativa Mission Innovation). La spesa in R&S nel campo dell’energia, tra il 2012 e il 2016 (anno più recente per cui è disponibile la rilevazione anche della spesa delle imprese private) è più che raddoppiata (da 720 a 1.508 mil. euro), grazie al forte apporto della componente privata aumentata più di quattro volte, mentre si è ridotta la componente pubblica (–11%, MiSE 2019). Limitatamente a quest’ultima i dati più recenti (fonte IEA) mostrano una buona ripresa della crescita a partire dal 2017, ciononostante la spesa nel 2018 si è attestata su un valore di 453 mil. euro, inferiore del 19% rispetto al 2012».