Made Green in Italy, qualcosa si muove per gli acquisti verdi della pubblica amministrazione

Il ministero dell’Ambiente annuncia novità nel Collegato ambientale, ma dal governo finora nessun segnale

[2 Luglio 2015]

pLa sostenibilità ambientale come qualità intrinseca di un prodotto: la proposta della certificazione Made Green in Italy, lanciata oggi dal sottosegretario all’Ambiente Barbara Degani aprendo i lavori del convegno sulla gestione ambientale all’università Bocconi di Milano, aggiunge un nuovo tassello alla pluriennale querelle normativa sul Collegato ambientale.

Un testo legislativo – di prossima approvazione al Senato, assicurano dal ministero – che è già stato annunciato come l’Agenda verde del governo: l’esecutivo in questione è però quello guidato da Enrico Letta, mentre il Collegato ambientale (dove il termine “collegato” si riferisce alla Legge di Stabilità 2013) non ha ancora ricevuto il via libera definitivo dalle aule parlamentari. L’ultima novità introdotta nel testo, negli svariati passaggi dell’iter legislativo, riguarda appunto la possibilità di introdurre, «nel rispetto della concorrenzialità d’impresa, un fattore di differenziazione qualitativa»: la certificazione Made Green in Italy, appunto.

«Il Piano per la qualificazione ambientale dei prodotti dei sistemi produttivi locali, dei distretti industriali e delle filiere tipiche del nostro sistema produttivo sarà – dichiarano dal ministero – un ulteriore strumento per rafforzare l’immagine e l’impatto comunicativo che distingue le produzioni italiane coniugandolo con gli aspetti di qualità ambientale e con la verifica del rispetto dei requisiti di sostenibilità anche sociale. Aumenteremo così il livello di trasparenza e di capacità informativa nei mercati di destinazione dei prodotti  sensibilizzando  i cittadini consumatori alla ricerca di prodotti più sostenibili e tutelandoli maggiormente da contraffazioni e pubblicità ingannevoli».

Non essendo ancora disponibile un testo definitivo del Collegato ambientale da poter analizzare, e mancando in quello primigenio ogni riferimento al “Made Green in Italy”, è difficile a oggi poter valutare l’impatto di un provvedimento che, almeno nelle intenzioni, si dimostra lodevole: «Il nostro obiettivo – scandisce infatti Degani – è il miglioramento delle prestazioni ambientali delle attività produttive e il miglioramento dei modelli di consumo».

Quel che è certo riguarda invece il ponte tra la formula Made Green in Italy ad un’altra promessa mancata della green economy italiana: il Green public procurement, che sarà (nuovamente) disciplinato all’interno del Collegato ambientale. «Poniamo  massima attenzione sui sistemi di gestione ambientale e sulle etichette ambientali, ma anche sull’uso di strumenti di mercato come il Gpp», ha dichiarato il sottosegretario all’Ambiente.

In ballo c’è l’efficacia di uno strumento potenzialmente determinante per lo sviluppo dell’economia verde italiana, ma che non è mai riuscito a decollare. Gli appalti verdi sono definiti dal ministero dell’Ambiente come una leva per «favorire lo sviluppo di un mercato di prodotti e servizi a ridotto impatto ambientale attraverso la leva della domanda pubblica», ma nei fatti rimangono per lo più lettera morta. Tutti li lodano ma in pochissimi li applicano, e le sanzioni previste per gli inadempienti non vengono praticamente mai applicate.

Riccardo Rifici, responsabile certificazione ambientale e Gpp del ministero dell’Ambiente, già nel 2012 certificò sulle nostre pagine uno spazio d’azione per il Gpp pari a 50 miliardi di euro potenziali. Un potenziale pressoché inespresso. Il governo Renzi riuscirà a guidare una rivoluzione verde nell’amministrazione pubblica? Se la risposta fosse positiva, per lo sviluppo sostenibile del Paese si aprirebbe una tutta un’altra storia. Per il momento però i fatti raccontano una trama stantia, quella che prevede incentivi per la termovalorizzazione a dispetto delle promozione delle materie prime seconde, riciclate in Italia. E chi davvero crede nella green economy non vede l’ora di voltare pagina.