Nimby in Italia, dietro i no la sfiducia nelle istituzioni. Bauman: «Sono assenti e deboli»

Nel decimo rapporto dell’Osservatorio l’impatto sull’ambiente si colloca al primo posto tra le ragioni di protesta

[18 Novembre 2015]

Non nel mio giardino: la portata della sindrome Nimby è tornata a crescere in Italia, secondo quanto raccolto nella decima edizione del l’Osservatorio media permanente Nimby forum, presentata ieri a Roma. Sono infatti 355 i casi censiti nel 2014 contro i 336 del 2013 (+5%), anche se è bene chiarire come in questo macrogruppo rientrino progetti molto diversi tra loro. Il Nimby Forum si definisce «il primo e unico database nazionale delle opere di pubblica utilità che subiscono contestazioni», accreditando l’accezione negativa che il termine “Nimby” ha ormai comunemente assunto.

Eppure, la stessa definizione di “opere di pubblica utilità” cui si fa riferimento nel rapporto (realizzato, ricordiamo, con il sostegno di grandi aziende quali Asja, MM, Sogin, Tap, Terna) si presta a interpretazioni ambigue. Come si spiega nel rapporto, nel 62,5% delle rilevazioni (riferite all’anno 2014) è il comparto energetico il settore più contestato e in particolare è significativo l’incremento delle opposizioni che investono gli idrocarburi: sui 91 impianti che per la prima volta hanno fatto la propria comparsa nel monitoraggio Nimby, ben 22 afferiscono a questo settore. Si tratta delle trivellazioni petrolifere verso le quali non solo i comitati, ma anche numerose associazioni ambientaliste e un attore istituzionale del calibro della Conferenza delle regioni hanno espresso netta contrarietà: per attingere a riserve (certe) di petrolio che non potrebbero soddisfare più di 2 mesi di consumi italiani, si ipotecherebbero 130mila kmq di aree marine. Si tratta di “opere di pubblica utilità”? L’impatto sull’ambiente si colloca al primo posto tra le ragioni di protesta (38,97% sul totale), evidenziando un significativo +89% rispetto al 2013: dato «certamente coerente – si legge nel report – con l’aumento dei casi di contestazione dei progetti di prospezione e ricerca di idrocarburi».

La problematica più acuta che sembra semmai emergere dai dati del Nimby forum è quella evidenziata nel lucido commento di Zygmunt Bauman, che a proposito del rapporto osserva come «l’attuale crisi della governance e il conseguente calo della fiducia nelle istituzioni democratiche deriva dalla loro assenza e debolezza. Occorre quindi lavorare alacremente alla revisione degli strumenti per un’efficace azione collettiva, alla ricostruzione di un nesso tra la volontà popolare e la capacità di attuare tale volontà».

È questa generalizzata mancanza di fiducia nelle istituzioni che si ritrova con forza nelle contestazioni, fino talvolta a rendere cieche le battaglie e a minarne la credibilità. Nel 2014, evidenzia il Nimby forum, è il comparto energetico a catalizzare maggiori contestazioni, con 222 impianti e un incremento del 4,2% rispetto al 2013. Come effetto collaterale dello Sblocca Italia i focolai di protesta contro impianti/progetti di ricerca ed estrazione di idrocarburi sono passati dai 10 del 2013 ai 32 di quest’anno, ma – in linea con la precedente edizione – si consolida anche il trend di proteste contro le fonti rinnovabili: centrali a biomasse (101 impianti, pari al 28,4% del totale), centrali idroelettriche, centrali geotermiche. Anche nell’ambito delle energie rinnovabili si annoverano casi in cui sono stati realizzati impianti inopportuni, ed è bene agire perché tali sbagli non si ripetano. Istituzioni democratiche forti dovrebbero però riuscire a spiegare che l’impatto zero non esiste, e che se – un esempio a caso – si rinuncia alle fonti fossili, non si può dire anche no in toto a quelle rinnovabili.

Tale paradosso, ovviamente, non si riscontra solo nel mondo dell’energia. In linea con i dati 2013, riporta il rapporto Nimbym, rifiuti (25,9%) e infrastrutture (8,7%) si attestano al secondo e terzo posto tra i macrosettori più contestati, dopo quello energetico. Emblematico il caso dei rifiuti: si paventa il rischio ecomafie, ma gli impianti necessari per un’efficace gestione sono malvisti sul territorio, con realtà locali che finiscono per dire indistintamente no a impianto di selezione e riciclo come a un inceneritore.

Si tratta di un fenomeno ormai trasversale nel Paese, ma ben più accentuato nel Nord: le sole regioni Lombardia e Veneto ospitano ben il 29% delle contestazioni, contro il 21,6% delle regioni del Sud. Nel 2014 le proteste si sono diffuse prevalentemente attraverso comitati e movimenti di iniziativa popolare. (promotori della protesta nel 32,5% dei casi), seguiti spesso da rappresentanti della politica nazionale (24,8%) e da enti pubblici (21,1%). In questo contesto, il ruolo della rete è in crescendo, spesso però con esiti infausti: «Il fenomeno Nimby è diventato 2.0 – commenta Alessandro Beulcke, presidente di Aris, l’associazione che promuove l’Osservatorio – non solo perché sempre più viaggia in rete, ma anche perché ha ampliato il proprio raggio di influenza: non solo No Tav, ma anche No Expo, No Vaccini, No immigrazione, etc. In questo contesto, in cui vacilla anche la capacità della scienza di creare fiducia attorno a conoscenze condivise, è fondamentale non retrocedere sul terreno dell’informazione, della partecipazione e della semplificazione». Una linea di confine che dovrebbe responsabilizzare gli attori istituzionali quanto i media, online o meno. «Le nuove tecnologie informatiche non ci faranno rinsavire – chiosa Bauman – Finora sono state usate per irrigidire i confini invece che per costruire ponti».