Non esistono pasti gratis: le rinnovabili richiedono 3 miliardi di tonnellate di minerali e metalli

La Banca mondiale mostra che qualsiasi percorso a basse emissioni di carbonio aumenterà la domanda complessiva di minerali. Ma è l’unica strada che abbiamo per combattere la crisi climatica

[26 Maggio 2020]

La transizione energetica verso fonti energetiche rinnovabili, indispensabile per frenare la crisi climatica in corso, comporterà un crescente utilizzo di risorse naturali non rinnovabili. Le cifre in gioco – con i relativi impatti ambientali – sono enormi, e iniziano man mano a prendere forma.

Due anni fa l’International resource panel nato sotto il cappello dell’Onu stimò in 600 milioni di tonnellate di metalli –  necessari per la costruzione di impianti, infrastrutture, cablaggi – la richiesta al 2050 dal mondo delle rinnovabili, mentre il rapporto Minerals for climate action: the mineral intensity of the clean energy transition appena pubblicato dalla Banca mondiale spinge le stime molto oltre: la produzione di minerali come grafite, litio e cobalto potrebbe aumentare di quasi il 500% entro il 2050 per soddisfare la crescente domanda di tecnologie per l’energia pulita.

In altre parole la Banca mondiale stima che – se vogliamo mantenere il riscaldamento globale entro il +2°C rispetto all’era pre-industriale – saranno necessari oltre 3 miliardi di tonnellate di minerali e metalli per dare corpo ad energie rinnovabili come l’eolico, il solare e la geotermia, per non parlare dello stoccaggio di energia indispensabile alle fonti rinnovabili intermittenti. Si prevede infatti che il litio, fondamentale per le batterie, dovrà aumentare la produzione di quasi il 500% molto prima del 2050 per soddisfare la crescente domanda di stoccaggio.

Naturalmente, come mettono in evidenza dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (ASviS), ogni minerale comporta un diverso rischio di domanda a seconda che sia trasversale (necessario attraverso una gamma di tecnologie a basse emissioni di carbonio) o concentrato (utilizzato in uno specifico segmento). I minerali trasversali, come rame, cromo e molibdeno, sono utilizzati in un’ampia varietà di tecnologie di generazione e stoccaggio dell’energia pulita, presentando condizioni di domanda stabili. Minerali concentrati come litio, grafite e cobalto sono necessari solo per una o due tecnologie, riscontrando maggiore incertezza sul mercato, ma la loro domanda aumenterà enormemente in futuro.

Niente di nuovo sotto il sole: già Nicholas Georgescu-Roegen, il celebre padre della bioeconomia, amava ripetere che anche la materia conta (matter matters too). Ovvero, la transizione ecologica non può  essere traguardata limitandosi alla gestione dei flussi di energia (o peggio delle emissioni climalteranti), ma la stessa attenzione va dedicata alle risorse naturali.

Una realtà messa oggi in particolare evidenza dalla pandemia in corso, che sta causando gravi perturbazioni all’industria mineraria in tutto il mondo, come del resto evidente dall’andamento di una commodity centrale come il petrolio.

« Il Covid-19 potrebbe rappresentare un rischio aggiuntivo per l’estrazione mineraria sostenibile», spiega nel merito Riccardo Puliti, direttore globale della Banca mondiale per le industrie energetiche ed estrattive. Anche per questo motivo la Banca mondiale ha avviato la Climate-smart mining, iniziativa che sostiene l’estrazione sostenibile di minerali e metalli minimizzando gli impatti sociali e ambientali lungo tutta la catena del valore, con l’obiettivo di aiutare i Paesi in via di sviluppo ricchi di risorse, dalla Guinea al Madagascar, dal Perù allo Zambia, a beneficiare della crescente domanda di materiali riducendo le ricadute negative sui territori.

Sarebbe però un insostenibile retaggio colonialista pretendere di delegare la gestione del problema ai Paesi in via di sviluppo, in virtù degli ingenti giacimenti di risorse naturali in loro disposizione. Occorre un’adeguata politica industriale a livello globale in cui ognuno fa la propria parte.

In primo luogo spingendo al massimo il riciclo, in modo da abbassare la richiesta di materiali vergini. Ma anche in questo caso non è possibile cadere in facili illusioni: la Banca mondiale spiega che anche se aumentassimo i tassi di riciclaggio di minerali come rame e alluminio del 100%, il riciclaggio e il riutilizzo non sarebbero ancora sufficienti a soddisfare la domanda di tecnologie per le energie rinnovabili e lo stoccaggio di energia. E dunque? Oltre a incoraggiare lo sviluppo di un’industria estrattiva più sostenibile nei Paesi di sviluppo, lo stesso – sempre a valle di un’adeguata valutazione costi-benefici – è necessario fare in Occidente. «Nulla cambierà radicalmente finché non sperimenteremo sotto le nostre finestre il costo complessivo della nostra felicità standard – osserva nel merito il giornalista e documentarista francese Guillaume Pitron, autore di La guerra dei metalli rari – Una miniera responsabile dalle nostre parti sarà sempre meglio di una miniera irresponsabile altrove».

Con la consapevolezza che il gioco vale la candela: la Banca mondiale mette in chiaro due punti. Il primo: qualsiasi percorso a basse emissioni di carbonio aumenterà la domanda complessiva di minerali. Il secondo: sebbene le tecnologie energetiche pulite richiederanno più minerali, l’impronta di carbonio della loro produzione, dall’estrazione all’utilizzo finale, rappresenterà solo il 6% delle emissioni di gas serra generate dalle tecnologie dei combustibili fossili. Un dato che può essere ridotto aumentando i tassi di riciclo.