Domani l’esame in Conferenza Stato-Regione del decreto attuativo atteso dallo scorso anno

Nuovi inceneritori, sì o no? Lo Sblocca Italia risponde alla domanda sbagliata

Gli ambientalisti: dal governo «stessi punti critici e ipotesi irricevibili». A regnare è il caos

[19 Gennaio 2016]

Domani la Conferenza Stato-Regioni dovrà (o meglio, dovrebbe) tornare ad esaminare una vecchia conoscenza: il decreto attuativo dell’articolo 35 dello “Sblocca Italia”, un testo nel quale si individuano gli inceneritori considerati strategici a livello nazionale, sia per quanto riguarda gli impianti con recupero energetico (termovalorizzatori e impianti Tmb), sia i più propriamente detti “inceneritori”, senza recupero – ormai dei fossili industriali. Il parere della Conferenza Stato-Regioni era già atteso per lo scorso 10 settembre, un appuntamento poi rimandato dietro le pressioni di associazioni ambientaliste e altre ong.

Tornati alla vigilia dell’importante appuntamento, Zero Waste Italy, Fare Verde, Greenpeace, Legambiente e Wwf Italia, bollano oggi la nuova versione del decreto attuativo come nuovamente irricevibile. L’unica novità rispetto alla bozza dell’agosto scorso, riassumono infatti le associazioni, è l’eliminazione dei 3 nuovi inceneritori previsti al Nord (Piemonte, Veneto, Liguria) perché si assume un “equilibrio a livello di macroarea Nord”; per il resto, viene confermata la previsione di 9 nuovi inceneritori nelle altre regioni già individuate (oltre all’ampliamento di un paio in Puglia e Sardegna). «La nuova bozza di decreto, pur riducendo gli inceneritori strategici da 12 a 9 – sottolinea dunque l’eterogeneo gruppo – conferma gli assunti erronei pro-inceneritori di quello precedente. Si continua a puntare sull’incenerimento quando l’andamento della produzione di rifiuti solidi urbani è da anni in calo». Inoltre, gli ambientalisti sottolineano che «la bozza di decreto presuppone che per corrispondere alle necessità di trattamento del rifiuto, obbligo previsto dalla Direttiva 99/31 sulle discariche, sia necessario far passare il Rur attraverso sistemi di trattamento termico. Ma non è così». Essendo però il “Rur” semplice acronimo di “rifiuti urbani residui” – e dunque di indifferenziato, o di rifiuto da rifiuto – a oggi le uniche alternative concrete allo sbocco di questa frazione sono due: la termovalorizzazione e la discarica, con la prima che, come da gerarchia Ue, è ambientalmente ed economicamente preferibile.

Rifuggendo da ogni dogmatismo, è utile qui ricordare come ad oggi si recuperi energia dai rifiuti assai meno in Italia che nel resto d’Europa, soprattutto se il confronto si estende a quei paesi additati spesso come leader nelle pratiche di pragmatico ambientalismo. Nel 2014 l’Italia contava (attivi) 44 impianti di incenerimento per rifiuti urbani, conducendo a recupero energetico il 17,4% degli urbani prodotti. Una frazione minuscola rispetto alla Francia e alla Germania che, per dire, insieme bruciano 29,4 milioni di tonnellate di rifiuti urbani l’anno, circa la metà di tutti quelli termovalorizzati in Europa. L’Italia, anche volendo, a oggi non potrebbe certo raggiungere simili percentuali: gli impianti sparsi lungo lo Stivale sono spesso vetusti. Poco più che inefficienti, grandi stufe. Probabilmente, chiudendone buona parte e dotando il Paese di pochi, nuovi e più efficienti impianti, anche l’ambiente ne trarrebbe grande beneficio. Ma non è questo che suggerisce lo Sblocca Italia, e ancor più il corpus normativo italiano in generale.

Sulla gestione dei rifiuti, la programmazione (politica prima che industriale) continua ad essere totalmente schizofrenica, affrontata tramite caotici interventi-spot. Il decreto attuativo dello Sblocca Italia ne è solo l’ultimo esempio. Al centro del dibattito – anche in questo caso – continuano a rimanere i rifiuti urbani, che rappresentano soltanto un quarto dei rifiuti totali prodotti; si incentiva la termovalorizzazione dei rifiuti e non il loro riciclo; in alcune aree dell’Italia (al Nord) gli impianti di termovalorizzazione soffrono di sovraccapacità, in altre zone (al Sud) non ci sono abbastanza impianti; al contempo, si progetta sì nuovi inceneritori, ma si avvantaggiano a loro discapito le discariche, che grazie alla recente approvazione del Collegato ambientale potranno tornare ad accogliere rifiuti con potere calorifico inferiore superiore a 13mila kJ/kg. Questo solo per citare pochi, eclatanti contraddizioni, che potrebbero essere sanate solo all’interno di un approccio olistico alla gestione non solo dei rifiuti prodotti, ma anzitutto ai flussi di materia (estrazione, produzione, consumo) che vanno a produrli.

Un operazione complessa ma sempre più indispensabile di fronte al progressivo depauperamento delle risorse naturali, sacrificato in Italia a un intricarsi di pulsioni diverse che non creano che confusione e, soprattutto, mala gestione: in questo caos, a perdere terreno continua ad essere la tutela dell’ambiente, la riduzione dei rifiuti a monte e il loro effettivo riciclo.