I risultati del nuovo Oecd employment outlook 2013 tracciano un quadro preoccupante

Ocse, i giovani precari in Italia raddoppiano. Ma il governo pensa alla deregulation per Expo 2015

Nel 2000 il 26,5% degli under 25 era precario, oggi la percentuale è salita al 52,9%

[16 Luglio 2013]

L’Italia rimane intrappolata nella recessione, ed è probabile che la disoccupazione continui ad aumentare. Inizia con le ormai familiari note il requiem che l’Ocse compone ancora una volta per l’economia italiana. Con l’aggiornamento dell’Oecd employment outlook 2013, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico traccia un quadro sempre più preoccupante per il Bel Paese, soprattutto sotto il profilo del lavoro dell’occupazione giovanile.

«Secondo le previsioni Ocse – confermano dall’Organizzazione – la recessione continuerà per tutto il 2013 e l’economia italiana è attesa in leggera ripresa solo nel 2014. Di conseguenza, il tasso di disoccupazione è cresciuto in modo quasi costante negli ultimi due anni per raggiungere il 12,2% nel maggio 2013».

Così, l’Italia si inserisce appieno in una dinamica europea che vede concretizzarsi una crescente disparità nei tassi di disoccupazione tra i paesi membri, che Germania si stima debba scendere sotto il 5%, mentre rimarrà attorno al 28% in Spagna ed in Grecia. Come si vede, il Bel Paese sembra al momento dirigersi di gran carriera verso le vette di questi paesi cugini, che non verso il miraggio teutonico.

Il rapporto Ocse si concentra dunque dove l’emergenza è maggiore, ossia sul profilo della disoccupazione giovanile, sottolineando come la proporzione di giovani racchiusi nella categoria Neet (che non studiano e non lavorano, Not in employment or in education and Training) è «cresciuta di 5,1 punti percentuali e ha raggiunto il 21,4% alla fine del 2012, la terza più grande percentuale nell’Ocse dopo Grecia e Turchia. Il contrasto con l’esperienza di molti altri paesi Ocse è impressionante».

Oltre che in quantità, il lavoro per i giovani italiani scade progressivamente anche in qualità. Secondo i dati forniti dall’Organizzazione, infatti, nel 2000 il 26,2% degli under 25 aveva un lavoro precario, mentre adesso la percentuale è salita vertiginosamente fino a raddoppiare, arrivando a quota 52,9%. Più della metà dei giovani italiani – o meglio dei pochi che lavorano – hanno un’occupazione precaria. Tutto questo mentre il governo concentra gli sforzi per disegnare un ulteriore deregulation dei contratti di lavoro in vista di Expo 2015: «Il governo intende favorire un punto di equilibrio – riporta l’Ansa sull’incontro di stamani che il ministro del lavoro Giovannini ha avuto con i sindacati – È preferibile che siano le parti sociali a concordare un’intesa quadro entro metà settembre, ma se entro tale data non sarà raggiunta il Parlamento e il governo interverranno».

Nelle considerazioni dell’Employment out look, l’Ocse si manifesta comunque moderatamente ottimista pensando alle ripercussioni positive che l’esperienza della riforma Fornero è e sarà in grado di apportare: «La riforma del mercato del lavoro del 2012 – osserva l’Ocse – aumenterà verosimilmente la creazione di posti di lavoro stabili nel medio termine».

Peccato che il rapporto si basi (come di consueto avviene all’interno di queste rilevazioni statistiche) su dati di fine 2012, mentre le più recenti comunicazioni da parte del ministero del Lavoro – come oggi riporta il Sole24Ore – ci informano che nel primo trimestre del 2013 le assunzioni (ferme a 2milioni e 430mila, 283mila in meno rispetto allo stesso periodo del 2012) sono diminuite addirittura del 10,4%. Un calo che include tutte le tipologie contrattuali, e in particolare (-22%) l’apprendistato, sul quale la riforma Fornero aveva – qui sì – intelligentemente puntato.

Le perdite maggiori di occupazione sono ancora una volta da attribuire al settore industriale, che segna un -85mila assunzioni, allontanandosi dall’obiettivo europeo di riportare nel Vecchio continente entro il 2020 il 20% di Pil da manifatturiero. Puntare forte sull’industria verde potrebbe rivelarsi decisivo per invertire la rotta. Nel suo ultimo rapporto sul tema, l’Ilo ricorda che puntare sulla green economy significa potenzialmente offrire un’occupazione a 60 milioni di persone da qui al 2032. Un’opportunità dalla quale l’Italia non conviene certo sottrarsi, ma l’implicito obiettivo finale rimane sempre quello di un lavoro minimo garantito per tutti, sostenibile (anche socialmente) e inclusivo. Continuare a puntare sulla precarizzazione del lavoro, come nel caso Expo 2015, di certo non aiuta a raggiungere lo scopo.