Anche in Italia il tasso di circolarità delle risorse è diminuito a partire dal 2010

Peggiora ancora l’economia circolare nel mondo: siamo fermi all’8,6%

Nel mentre il nostro metabolismo economico è sempre più affamato, arrivando a divorare 100,6 miliardi di tonnellate di materie prime l’anno

[24 Gennaio 2020]

L’economia circolare rappresenta uno dei principali driver da mettere in campo per arrivare a un modello di sviluppo compatibile coi limiti fisici del nostro pianeta: si tratta di un modello economico in cui il valore dei materiali viene il più possibile mantenuto o recuperato e dove gli scarti sono ridotti al minimo, sempre più apprezzato nei convegni e dibattiti di mezzo mondo – Italia compresa – ma praticato ancora troppo poco. Tanto che il Circularity gap report, nato per misurarne la performance a livello globale e lanciato a Davos, mostra il segno meno da due anni a questa parte.

Nel 2018 infatti appena il 9,1% dell’economia globale poteva dirsi circolare, un dato sceso al 9% lo scorso anno e precipitato adesso ancora più in basso, all’8,6%: questo significa che di tutti i minerali, i combustibili fossili, i metalli e la biomassa vengono digeriti ogni anno dal nostro sistema economico, solo l’8,6% viene riciclato. Nel frattempo, il rapporto documenta come le risorse materiali estratte ogni anno dall’ambiente per uso umano non sono mai state così tante.

L’input totale di materiali in ingresso nel nostro sistema economico è arrivato infatti (dati 2017) a 100,6 miliardi di tonnellate l’anno: 92 estratte dall’ambiente, 8,65 di natura circolare. Di queste 100,6 miliardi di tonnellate 32,6 sono state “digerite” dal nostro metabolismo economico e raccolte come rifiuti: di quest’ammontare, solo 8,65 sono state effettivamente riciclate.

«L’economia circolare – commenta Janez Potočnik, ex commissario europeo all’Ambiente e oggi  co-presidente dell’International resource panel dell’Unep – sta diventando un concetto ampiamente riconosciuto e accettato. Ma per renderlo reale, come mostra il rapporto, sono necessari molti sforzi e un cambiamento anche nella nostra comprensione dell’economia circolare. Dobbiamo abbracciare la dematerializzazione, ripensare il concetto di proprietà e passare dall’efficienza delle risorse alla sufficienza delle risorse».

L’attuale modello economico, al contrario, perpetua enormi disuguaglianze a livello globale (i Paesi ricchi consumano circa 10 volte più materie prime l’anno di quelli poveri) e non permette di raggiungere gli obiettivi climatici previsti dall’Accordo di Parigi: circa il 50% delle attuali emissioni mondiali di gas a effetto serra deriva infatti dall’estrazione e dalla lavorazione di risorse naturali, con una domanda di materie prime in uno scenario “business-as-usual” che dovrebbe addirittura raddoppiare entro il 2050.

Un contesto dove anche l’Italia continua a non fare appieno la sua parte, anzi. Il nostro tasso di circolarità, misurato da Eurostat (dati 2016), mostra che solo il 17,1% delle risorse materiali utilizzate nel nostro Paese proviene da prodotti riciclati e materiali di recupero, risparmiando così l’estrazione di materie prime primarie: si tratta di una performance migliore della media Ue (11,7%), che ci vede al quinto posto in Europa ma in progressivo peggioramento nel corso degli ultimi anni.

Come spiega l’ultimo rapporto L’Italia del riciclo «nel periodo 2010-2016 il tasso di utilizzo circolare di materia è cresciuto per la Francia dal 17,5% al 19,5% e per il Regno Unito dal 14,6% al 17,2%, mentre in Italia è diminuito da 18,5 nel 2014 al 17,1% nel 2016, occorre tener presente un trend di circolarità che potrebbe mostrare delle difficoltà. Poiché negli stessi anni i tassi di riciclo dei rifiuti sono aumentati, la riduzione del tasso di circolarità si spiega col fatto che materie prime provenienti dal riciclo hanno sostituito, in parte non corrispondente e inferiore alle quantità riciclate, materie prime vergini impiegate nella realizzazione dei prodotti».

Per migliorare occorre dunque non solo avviare a riciclo un sempre maggior numero di rifiuti, ma garantire anche alle materie prime seconde lo spazio di mercato che meritano, e al contempo prendendo in carico la gestione dei crescenti scarti provenienti dal riciclo oltre a quelli legati alle frazioni non riciclabili.