Piombino: bonifiche e acciaio senza Rimateria?

Il dibattito sul territorio si è avvitato, ma prima o poi dovrà fare i conti con le necessità di risanamento di una immensa area Sin e le ambizioni di tornare a produrre acciaio

[11 Dicembre 2019]

Tra una settimana i soci di Rimateria terranno «una nuova e definitiva assemblea» al fine di valutare la sussistenza della prosecuzione dell’attività imprenditoriale: la stessa azienda che tre anni fa ha iniziato un opera di risanamento finanziario e ambientale ereditata dalla ex municipalizzata Asiu, adesso rischia concretamente la chiusura. Uno scenario che riserverebbe ben poche sorprese, ma tutte amare.

Il Nucleo unificato regionale di valutazione (Nurv) ha già messo nero su bianco che alla chiusura di Rimateria non seguirebbero “solo” la perdita del posto di lavoro per i circa 50 dipendenti con famiglie a carico, ma anche conseguenze nefaste dal punto di vista ambientale e dei conti pubblici: «Considerato che il ministero ha già autorizzato la messa in sicurezza permanente sull’area Li53 e individuato Rimateria come soggetto attuatore, la chiusura dell’azienda – sottolinea infatti il Nurv – metterebbe a rischio le operazioni di bonifica i cui costi quantificati in qualche decina di milioni di euro potrebbero avere significative ricadute sulla spesa pubblica».

Uno scenario che richiama la necessità di interrogarsi su quale sia la strada che garantisce la migliore sostenibilità ambientale, sociale ed economica al tempo stesso. E a questo proposito non sono eludibili due nodi di fondo: 1) la necessità di bonificare una immensa area Sin (900 ettari) che esiterà centinaia (se non milioni) di tonnellate di rifiuti; 2) la gestione secondo logica di sostenibilità, prossimità ed economicità dei rifiuti derivanti dalla produzione e dalla laminazione dell’acciaio.

Infatti, in aggiunta ai milioni di tonnellate già stoccate nel perimetro della fabbrica,  e oltre a quelle già prodotte attualmente dalla ex Lucchini, quando (e se) si tornerà a produrre acciaio ne arriveranno inevitabilmente delle altre: le cifre possono cambiare molto a seconda del tipo d’impianto, di acciaio e di additivi, ma nel produrre 1 milione di tonnellate d’acciaio (ma Jsw inizialmente parlava di quattro) da forno elettrico – a sua volta alimentato da rottame, ovvero rifiuti quindi che andranno importati “da fuori” – esiteranno dal processo produttivo altre centinaia di migliaia di tonnellate. Una parte significativa sono riciclabili certo (ma lo erano anche quelle del ciclo integrale e non si sono riciclate), ma dal processo produttivo primario e da quello di laminazione esitano inevitabilmente anche rifiuti non riciclabili e dunque da smaltire in discarica: come gestirli, dato che Jindal non ha una discarica di servizio di cui avvalersi? Questo è un interrogativo di peso, che nelle ultime settimane viene posto da più parti con insistenza.

Come dichiarato dai sindaci di San Vincezo, Sassetta, Castagneto Carducci e Campiglia Marittima «l’assenza di un sito di smaltimento per gli scarti siderurgici di Jsw potrebbe creare ulteriori criticità ed ostacoli all’economia del territorio»; anche le segreterie di Fim, Fiom e Uilm – come esplicitato nel corso di un recente incontro con il sindaco di Piombino – si attendono dalle istituzioni locali «possibili soluzioni allo smaltimento di quanto non riciclabile». Le stesse di Fim, Fiom e Uilm e le rsu di Jsw e Piombino Logistics, durante un incontro a Livorno con il prefetto Gianfranco Tomao, hanno richiamato l’attenzione sull’Accordo di programma per la reindustrializzazione del sito d’interesse nazionale di Piombino, sottolineando che un punto dolente «riguarda l’utilizzo della discarica adiacente allo stabilimento per lo smaltimento della parte non riutilizzabile delle scorie prodotte dai forni elettrici e dai treni di laminazione. Facile prevedere che un aggravio imprevisto dei costi di smaltimento di quegli scarti potrebbe mettere a rischio la fattibilità del progetto».

La stessa Jsw, attraverso le parole dell’ex ad Fausto Azzi, ebbe a dichiarare che «non solo pensiamo a utilizzare la discarica “Rimateria”, ma anzi la riteniamo essenziale per concretizzare il progetto di Jsw». Da queste dichiarazioni è trascorso un anno, e oggi il destino degli impianti Rimateria è tutt’altro che chiaro.

Comunque vadano le cose è evidente che se nel futuro di Piombino ci dovranno essere le indispensabili bonifiche e ci sarà la produzione di acciaio, com’è auspicio comune, ci saranno anche rifiuti e servirà anche una discarica per gestirli. La domanda è quale. Ad oggi il progetto industriale di Rimateria prevede il risanamento ambientale e la riqualificazione paesaggistica dei 58 ettari su cui opera – e dove insiste tra le altre la discarica abusiva Li53 –, ma se l’immobilismo politico condannerà l’azienda al fallimento lo scenario alternativo è quello già tratteggiato nell’Accordo di programma quadro (articolo 8, punti 7 e 8): nel testo sottoscritto si prevede da una parte che Jsw ha facoltà di «valutare la possibilità di perseguire soluzioni di filiera corta e di economia circolare», mentre la parte pubblica (ovvero le autorità competenti) sono obbligate «per il rilascio di tutte le eventuali autorizzazioni necessarie per l’attuazione del Piano industriale» di Jsw. Lasciar fallire due partecipate pubbliche (Asiu e Rimateria) per poi lasciare campo libero a un soggetto del tutto privato sarebbe solo l’ultimo paradosso.