Diminuisce il ricorso alla discarica, in aumento quello al recupero energetico

Rifiuti speciali: calano quelli prodotti, ma anche il recupero di materia

Ispra, metà dei dati deriva da stime. Rimane l’incertezza dell’informazione

[28 Luglio 2015]

Calano i rifiuti speciali prodotti in Italia: il quattordicesimo rapporto sul tema, pubblicato oggi dall’Ispra (con dati 2013), testimonia un calo dell’1,5% rispetto al 2012. I rifiuti speciali prodotti in un anno passano da 133,6 a 131,6 milioni di tonnellate, e calano sia i rifiuti pericolosi – pari a 8,7 milioni di tonnellate, con un -2,6% (ossia 228 mila tonnellate) – sia i non pericolosi, che scendono dell’1,4% (-1,7 milioni di tonnellate) scivolando a circa 122,9 milioni di tonnellate.

Si tratta di un trend in diminuzione che, anche se meno marcato, trova conferme negli anni precedenti; in buona parte è lo specchio della crisi italiana, come certifica l’Ispra. La crisi ha spazzato via consumi e investimenti, e il tornasole non può che manifestarsi nell’altra faccia della medaglia per la nostra società dei consumi: quella dei rifiuti. In particolare, ha inciso l’ulteriore e consistente calo dei rifiuti generati dalle attività di costruzione e demolizione.

Ma a diminuire non è solo il totale dei rifiuti speciali prodotti. Scendono le quantità smaltite in discarica, con un -4,4% – circa 500 mila tonnellate – rispetto al 2012 (il totale ammonta a circa 11 milioni di tonnellate di cui 89,9% non pericolosi e 10,1% pericolosi), ma anche la quantità di rifiuti recuperati sotto forma di materia (-450 mila tonnellate). In calo pure la quota di rifiuti speciali trasportati all’estero: 3,4 milioni di tonnellate (2,4 milioni non pericolosi e 1 milione di pericolosi), con una diminuzione del 16,7%. A non cambiare è invece le destinazione prediletta, ossia la Germania, che evidentemente continua ad avere un approccio più pragmatico – e impianti – di noi per non rifiutare i rifiuti. Ad aumentare, invece, il quantitativo complessivo di rifiuti speciali recuperato energeticamente, nel 2013 pari a circa 2,2 milioni di tonnellate (+7,2%).

Quella prodotta dall’Ispra è una carrellata di dati, preziosi e dettagliati, che ha soprattutto il merito di restituire il senso delle proporzioni in una dimensione – quella dei rifiuti – proiettata sistematicamente in modo distorto. L’opinione pubblica e l’intellighenzia politica tendono sistematicamente a identificare la gestione dei rifiuti e i suoi problemi con la fetta dei rifiuti urbani, mentre gli speciali sono quattro volte tanti. Per la seconda realtà manifatturiera d’Europa, questo non è più accettabile.

Il settore manifatturiero, con quasi il 40% del totale (circa 3,4 milioni di tonnellate), è il maggior produttore di rifiuti pericolosi, e produce il 25% dei rifiuti speciali non pericolosi (30,4 milioni di tonnellate), pressoché la stessa quota derivante da trattamento di rifiuti e risanamento (30,6 milioni di tonnellate). Il peso del manifatturiero italiano nel 2013 – anno preso di riferimento in questo rapporto Ispra – ammontava a circa il 16% del Pil, e la strategia europea prevede aumenti fino al 20% nel 2020. Anche l’altra faccia della medaglia esige dunque di essere conosciuta e governata.

Il dato positivo rimane quello che vede primeggiare il recupero di materia nella gestione dei rifiuti speciali, con il 64,7% del totale, pari a oltre 84 milioni di tonnellate (seguono le altre operazioni di smaltimento con il 14,5%, e lo smaltimento in discarica con l’8,4%); di queste, però, 82 sono di rifiuti speciali non pericolosi (pari al 74,9% del totale dei non pericolosi gestiti), mentre solo le restanti due fanno riferimento ai pericolosi (il cui quantitativo avviato a recupero di materia, è pari a 1,8 milioni di tonnellate, il 25,5% del totale dei rifiuti pericolosi gestiti).

Numeri che testimoniano come le aziende italiane siano capacissime di reimpiegare nel ciclo produttivo i rifiuti, quando questi hanno un valore di mercato; a contraltare rimane la mancanza di politica industriale per quanto riguarda il resto. La presenza di normative a dir poco farraginose e  la cronica mancanza di impianti sul territorio (ormai classico, purtroppo, il caso dell’amianto) danno spazio all’infiltrazione delle ecomafie, piuttosto che alla diffusione di una manifattura sostenibile che fa dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse il proprio perno.

Confusione e mancanza di certezze rimangono la norma, nell’ambito, tanto che anche i dati Ispra – il faro per quanto riguarda produzione e gestione dei rifiuti speciali in Italia – non possono che essere opachi. «La quota determinata attraverso l’utilizzo delle metodologie di stima – sottolineano dall’Istituto, dove hanno ben presente il problema – rappresenta circa la metà del dato complessivo di produzione dei rifiuti speciali non pericolosi», mancando dati certi e completi cui poter far riferimento. A ulteriore dimostrazione di tale caos, in questo XIV rapporto l’Ispra conteggia i rifiuti speciali prodotti nel 2012 in 133,6 milioni di tonnellate (tabella 2.1), mentre nel XIII rapporto diffuso pochi mesi fa erano 134,4 (tabella 1.1); una differenza di 0,8 milioni di tonnellate, che non sono esattamente briciole.

«La certezza dell’informazione – ha ribadito recentemente Bernardo de Bernardinis, presidente dell’Ispra – che è fondamentale  per conoscere e agire le decisioni più corrette, nel nostro Paese è un’utopia e la nostra attività faticosissima di reporting ufficiale sarà sempre un’immagine sfumabile, (non sfumata, attenzione all’esattezza del significato), un proxy permeabile (non permeato) che ancora oggi ci sfugge e dove si annidano le ecomafie». Prima se ne prende atto – intervenendo di conseguenza – e meglio è.