Riuso delle mascherine? Iss: possibile per quelle di comunità, non per quelle chirurgiche

L’Istituto superiore di sanità raccomanda un uso razionale e non smodato di imballaggi e stoviglie monouso. No anche all’uso eccessivo su strade e grandi superfici di disinfettanti contenenti ipoclorito di sodio

[4 Giugno 2020]

Tra guanti e mascherine per difenderci da Covid-19, l’Ispra stima che quest’anno produrremo fino a 440.000 tonnellate di rifiuti. Un ammontare che può essere in parte ridotto ricorrendo al riuso delle mascherine, ma solo in alcune condizioni, come spiegato oggi nella commissione parlamentare Ecomafie dall’Istituto superiore di sanità (Iss), rappresentato tra gli altri dal presidente Brusaferro.

Secondo quanto riferito, ad esempio, per quanto riguarda le mascherine chirurgiche «non ci sono al momento evidenze che consentano il loro ricondizionamento: qualora ci fossero nuove evidenze, queste verranno valutate» dall’Iss. Il riuso è invece un’opzione praticabile per le mascherine di comunità. Ovvero quelle mascherine che non devono essere considerate né dei dispositivi medici (Dpi), né dispositivi di protezione individuale, ma una misura igienica utile a ridurre la diffusione del virus Sars-Cov-2: hanno lo scopo di ridurre la circolazione del virus nella vita quotidiana e non sono soggette a particolari certificazioni.

Se fatte con materiali che resistono al lavaggio a 60 gradi con comune detersivo o altro indicato dal produttore, le mascherine di comunità possono essere lavate e riutilizzate, ma nel caso in cui compaiano sintomi riconducibili a Covid-19, le mascherine di comunità non vanno più bene: è necessario l’utilizzo di mascherine certificate come dispositivi medici. Un approccio valido anche, in parallelo, per le mascherine che devono avere caratteristiche di Dpi. Per la sicurezza di ambiente e salute l’importante, in ogni caso, è che guanti e mascherine non vengano diffusi nell’ambiente a causa di comportamenti incivili da parte dei cittadini.

Per quanto riguarda invece l’impiego di materiali e beni riutilizzabili anziché usa e getta, quali imballaggi e stoviglie, dall’Iss hanno spiegato che «laddove ci sono superfici adeguatamente igienizzate, il virus viene disattivato». Dunque nessun obbligo in merito di uso massicci di prodotto monouso, dove possibile.

Anche rispetto all’igienizzazione delle strade, l’Iss sottolinea la bontà di un approccio equilibrato: gli auditi hanno spiegato che «la disinfezione deve essere fatta in maniera appropriata e senza eccessi, allo scopo di scongiurare altri effetti negativi. Secondo quanto riferito, uno dei primi rapporti Covid dell’Iss ha sconsigliato l’uso eccessivo su strade e grandi superfici di disinfettanti contenenti ipoclorito di sodio, che possono risultare pericolosi».

Sul tema della raccolta dei rifiuti urbani, dall’Iss hanno dichiarato che non ci sono ancora studi sulla sopravvivenza del virus nei rifiuti, mentre per quanto riguarda la sterilizzazione dei rifiuti sanitari a rischio infettivo, gli auditi hanno riferito che sul tema è opportuna una riflessione anche legata alle prospettive future. Ad oggi, sappiamo dall’Ispra che vengono trattati ogni anno 143.530 tonnellate di rifiuti a rischio effettivo, di cui 95.815 tonnellate avviate a incenerimento e 47.715 a sterilizzazione.

«Ringrazio il presidente dell’Iss per il sul lavoro – commenta il presidente della commissione Ecomafie, Stefano Vignaroli – L’Iss ha espresso la sua disponibilità a collaborare con la commissione sulle criticità legate alla proliferazione dei rifiuti connessa all’emergenza Covid-19, in particolar modo stoviglie, guanti e mascherine usa e getta. Il tema merita grande attenzione considerando che al vertice della gerarchia europea dei rifiuti c’è proprio la riduzione e le evidenze scientifiche rivestono un ruolo di primo piano per tracciare un quadro in modo serio e preciso e individuare misure di prevenzione dei rifiuti. La corretta informazione dei cittadini e delle attività commerciali gioca un ruolo di primo piano e mettere insieme le forze è fondamentale».

Altrettanto fondamentale però è ricordare che quella europea è appunto una gerarchia, da rispettare nel suo complesso: al primo posto prevede la prevenzione, poi il recupero di materia, il recupero di energia, lo smaltimento finale. Dunque oltre a promuovere dove possibile il riuso delle mascherine, ad esempio, è altrettanto necessario garantire il buon funzionamento della filiera integrata di gestione dei dispositivi giunti a fine vita. Dai dati disponibili gli impianti (termovalorizzatori e discariche, in questo caso) attualmente presenti sul territorio appaiono sufficienti a fronteggiare l’emergenza, visto il contemporaneo calo di altre frazioni di rifiuti, ma questo non significa poter continuare a ignorare le criticità strutturali di sistema, che espongono il Paese a continue crisi nella gestione dei nostri scarti.

«La crisi – ha spiegato nei giorni scorsi sempre in commissione Ecomafie il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – ha evidenziato le vulnerabilità del nostro attuale sistema impiantistico di gestione rifiuti e ha dimostrato la necessità che venga elaborata a livello centrale una strategia nazionale, che definisca in una prospettiva di sistema Paese i fabbisogni regionali sulla base di criteri omogenei e di strategie gestionali affidabili».

L. A.