I risultati della nuova indagine “Beach litter” di Legambiente

Stessa spiaggia stesso mare, pieno di rifiuti: lungo le coste italiane sono 714 ogni 100 metri

Soprattutto plastiche, cotton fioc e mozziconi di sigaretta. Un problema che la tecnologia da sola non può risolvere

[26 Maggio 2016]

Come stanno le spiagge italiane? Su quelle monitorate da Legambiente (47 lungo tutto lo Stivale per un’area di 106.245 mq, pari a 800 campi di beach volley) sono spuntati 714 rifiuti ogni 100 metri lineari di spiaggia. L’indagine “Beach litter”, che rientra nell’ambito della campagna “Spiagge e Fondali puliti – Clean-up the Med 2016” realizzata anche grazie al contributo di Cial, Novamont e Virosac, è stata eseguita dai volontari di Legambiente nel mese di maggio 2016. Le situazioni più critiche sono state rilevate sulla spiaggia di Coccia di Morto a Fiumicino, in prossimità della foce del Tevere, dove si accumulano i rifiuti provenienti dal fiume, ma il problema dei rifiuti spiaggiati è nazionale ed europeo, dalle pesanti ricadute economiche oltre che ambientali.

Secondo uno studio commissionato dall’Unione Europea e realizzato da Arcadis, il marine litter costa all’Ue ben 476,8 milioni di euro l’anno, prendendo in considerazione solo i settori del turismo e della pesca. Per quanto riguarda la tipologia dei rifiuti monitorati, a guidare la classifica sono tre piccoli ma pericolosi oggetti: al primo posto ci sono i pezzi di plastica e polistirolo (22,3%), di dimensioni inferiori ai 50 cm, che costituiscono quasi un quarto dei rifiuti trovati. Secondo posto per i cotton fioc (13,2%) per un totale di 4412 pezzi, diretta conseguenza della scorretta abitudine di “smaltire” questi rifiuti gettandoli nel wc e dell’inefficacia degli impianti di depurazione. Terzo posto in classifica per i mozziconi di sigaretta (7,9%): in particolare l’indagine di Legambiente ne ha contati 2642, una quantità pari al contenuto di 132 di pacchetti, il 3% in più rispetto all’indagine del 2015. Per quanto riguarda dunque la tipologia dei rifiuti monitorati, dall’indagine di Legambiente che ben il 30% è costituito da packaging, di cui il 26% da imballaggi e involucri alimentari (ad es. bottiglie, contenitori, stoviglie) e il 4% da packaging non alimentare (es scatole e teli). Al secondo posto troviamo i rifiuti da mancata depurazione, e al terzo i rifiuti derivanti dal fumo (i mozziconi).

«Il problema dei rifiuti spiaggiati e di quelli in mare – dichiara Rossella Muroni, presidente nazionale di Legambiente – rappresenta la punta dell’iceberg di un problema molto più complesso che deve essere affrontato al più presto. Circa il 70% dei rifiuti che entra a contatto con l’ecosistema marino affonda e solo il 15% resta in superficie. Per questo è urgente mettere in programma azioni per la progressiva riduzione dei rifiuti in mare e nella fascia costiera, come previsto dalla Direttiva Europea Marine Strategy, che in Italia non sono ancora state messe in campo. Il nostro Paese faccia la sua parte».

Anche perché la tecnologia da sola, vale la pena ripeterlo, rimane impotente. Un esempio ormai certificato anche dall’Unep arriva dalle plastiche biodegradabili, da molti inizialmente additate come la panacea dei mali legati agli impatti negativi sull’ambiente prodotti da una cattiva gestione dell’omologo petrolifero, le plastiche tradizionali. Non è così. Una volta finite in mare, anche le bioplastiche danneggiano l’ecosistema con il quale vengono in contatto.

La completa biodegradazione della plastica, argomenta il Programma Onu per l’ambiente «si verifica in condizioni che sono raramente (per non dire mai) si incontrano in ambienti marini», e anzi «etichettare un prodotto come biodegradabile può essere visto come una soluzione tecnica che rimuove la responsabilità dell’individuo, con conseguente riluttanza ad agire». I biopolimeri sono un’importante conquista tecnologica, aperta a ulteriori innovazioni in un settore in cui l’Italia – grazie a esperienze come quella di Novamont – è all’avanguardia nel mondo. Sarebbe però illusorio relegare alla loro semplice esistenza un problema pressante come quello dei rifiuti marini.

Che siano di materiale plastico o meno, la sola risposta percorribile sta in una corretta gestione non solo del ciclo integrale dei rifiuti, ma in quello dei flussi di materia che alimentano la nostra economia, i nostri consumi. Una risposta complessa quanto ineludibile, che richiede sforzi da parte di ogni attore in campo: dalle istituzioni alle imprese, passando per ogni singolo cittadino.

L. A.