Uno sviluppo sostenibile di respiro europeo come unica alternativa alla recessione

La Commissione Ue ha appena presentato tre scenari al 2030 per raggiungere gli obiettivi Onu e guidare l’economia verde: in palio ci sono 2,3 milioni di posti di lavoro. L’Italia da che parte sta?

[1 Febbraio 2019]

Dopo 14 trimestri consecutivi di (modesta) crescita economica la recessione non è un’eredità del passato né è arrivata come un fulmine a ciel sereno per l’Italia, ma era anzi stata ampiamente preconizzata da molte delle più autorevoli previsioni economiche – tutte al ribasso – elaborate nel corso degli scorsi mesi, comprese le osservazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio che parlavano già di una legge di Bilancio «chiaramente recessiva» anche per quanto riguarda il 2020-21. Il contesto internazionale ha certamente il suo peso in questa dinamica, ma risulta quantomeno ingenuo attribuirgli le principali colpe quando nell’ultimo trimestre del 2018 il Pil italiano si è contratto dello 0,2% – ufficializzando la recessione tecnica – mentre Eurostat informa che quello dell’eurozona è cresciuto nello stesso periodo sempre dello 0,2%, e quello dell’Ue a 28 ha segnato un +0,3%.

Al contempo, cercare di invertire la rotta chiudendosi a riccio all’interno dei nostri confini nazionali sarebbe controproducente, come mostrano ormai chiaramente le conseguenze di una politica “sovranista”. Sebbene non abbia ricevuto adeguata eco sui media né tantomeno tra le istituzioni italiane, la Commissione Ue ha appena presentato un documento di riflessione per creare un’Europa sostenibile entro il 2030: si tratta di un obiettivo strategico cui anche l’Italia è chiamata a contribuire, e rappresenta al contempo la principale se non unica possibilità di definire un Paese migliore sotto il profilo ambientale, sociale ed economico, come mostrano i principali dati disponibili in materia.

Come noto, in Europa dal 2000 al 2015 (dove al momento si ferma la serie storica) il tasso d’occupazione e il valore aggiunto sono cresciuti molto più rapidamente nei settori dell’economia verde rispetto a quelli generali, un trend che può e deve continuare. Le stime della Commissione Ue indicano che la transizione verso un’economia circolare potrebbe portare alla creazione di 1 milione di posti di lavoro di qui al 2030 tagliando contemporaneamente le emissioni di gas serra; per quanto riguarda le energie rinnovabili invece dal 2008 al 2014 i posti di lavoro europei sono già cresciuti del 70%, e mobilitando adeguati investimenti (pubblici e privati) se ne potrebbero ottenere altri 900mila al 2030, ai quali aggiungere altri 400mila occupati nel settore dell’efficienza energetica.

Un treno sul quale per l’Italia sarebbe suicida non salire: non si tratta affatto di progressi automatici, ma risultati che hanno bisogno di un ampio e collettivo lavoro per essere raggiunti, superando numerosi ostacoli. «Come il resto del mondo, l’Ue – riflette al proposito la Commissione – si trova ad affrontare sfide complesse, mutevoli e urgenti, riguardanti in particolare il debito ecologico e i cambiamenti climatici, i cambiamenti demografici, la migrazione, la disuguaglianza, la convergenza economica e sociale e la pressione sulle finanze pubbliche. Inoltre, tentazioni isolazionistiche e nazionalistiche sempre più forti sono un segnale del fatto che troppi cittadini europei non si sentono protetti a sufficienza in questo mondo che cambia. Questi fatti innegabili non dovrebbero instillarci paura, ma incitarci ad agire».

A fronte di un «fermo impegno dell’Ue di realizzare gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, anche in relazione all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici», nel suo documento di riflessione la Commissione europea presenta tre scenari per stimolare la discussione su come dare seguito agli obiettivi di sviluppo sostenibile all’interno dell’Unione, in una scala d’impegno decrescente: il primo prevede una strategia generale dell’Ue relativa agli Obiettivi di sviluppo sostenibile Onu per orientare le azioni dell’Ue e degli Stati membri; il secondo un’integrazione continua degli Obiettivi da parte della Commissione in tutte le pertinenti politiche dell’Ue, ma senza imporre misure agli Stati membri; il terzo di puntare di più sull’azione esterna, consolidando al contempo il principio della sostenibilità a livello dell’Ue. Tra i tre scenari però, «solo il primo corrisponde alle nostre proposte», spiega Enrico Giovannini, ex presidente Istat e ministro del Lavoro, oggi portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile.

Ed è proprio questo lo scenario che l’Italia dovrebbe contribuire a sviluppare all’interno di un approccio europeo, nei propri interessi. Sebbene anche l’Ue debba ancora lavorare molto per rispettare gli obiettivi Onu di sviluppo sostenibile, i progressi italiani in materia sono marcatamente insufficienti e tutte le promesse finora messe sul tavolo dal Governo gialloverde secondo l’ASviS «sono state totalmente ignorate». Reali passi avanti potranno venire solo collettivamente: presi collettivamente gli Stati membri dell’Ue rappresentano ancora (per il momento, almeno) la prima economia mondiale, costituendo l’unico livello al quale è possibile influenzare davvero le dinamiche internazionali. Non a caso il documento della Commissione europea si conclude sottolineando «l’importanza che l’Ue sia un pioniere nella transizione verso un’economia sostenibile a livello mondiale, dal momento che le nostre politiche avranno solo un impatto limitato sul pianeta se altri perseguono strategie contrastanti».