Aceper: «La revoca retroattiva degli incentivi alle rinnovabili danneggia ingiustamente gli imprenditori»

Nella stragrande maggioranza dei casi, non si tratta di carenze tecniche ma di vizi burocratici accertati con anni di ritardo

[8 Gennaio 2020]

L’Associazione consumatori e produttori energie rinnovabili (Aceper) denuncia che «Solo nel 2018 più di 4.100 piccoli imprenditori si sono visti revocare gli incentivi del GSE per i loro impianti fotovoltaici, trovandosi obbligati a restituire decine o centinaia di migliaia di euro. Un pesante danno al nostro tessuto produttivo, oltre che un macigno che incombe sul futuro delle energie pulite».

L’Aceper ricorda che «Se nel territorio italiano sono in funzione 822.301 impianti fotovoltaici, per una potenza totale di ben 20,108 GW, è anche per merito delle varie edizioni del “Conto Energia” che si sono susseguite tra il 2005 e il 2012. La spinta degli incentivi è stata determinante per affermare anche nel nostro Paese questa fonte di energia pulita e “diffusa”: come si legge infatti nell’ultimo Rapporto Statistico del GSE (il Gestore dei servizi energetici interamente controllato dal Ministero delle Finanze), circa l’81% degli impianti installati afferisce al settore domestico».

Per rispettare gli impegni assunti in Europa – che intanto li ha aumentati con l’European Green Deal – e dare un segnale forte di lotta ai cambiamenti climatici il governo ha promesso di coprire il 30% dei consumi finali di energia con fonti rinnovabili, ma l’Aceper evidenzia che «La realtà delle migliaia di persone che hanno installato i pannelli, quasi tutte piccoli imprenditori, è però di segno totalmente opposto. Negli ultimi anni il GSE è stato impegnato in una capillare opera di verifica, volta a stabilire se i singoli impianti avessero ancora diritto agli incentivi».  La presidente Aceper, Veronica Pitea, fa notare che «Quando l’esito del sopralluogo è negativo, il proprietario è costretto a restituire retroattivamente la somma che ha già incassato, anche se all’epoca ne aveva diritto. Stiamo parlando di decine o centinaia di migliaia di euro; e se viene a mancare la liquidità, scattano i decreti ingiuntivi»,

l’Aceper sottolinea che, secondo i dati ufficiali forniti dallo stesso GSE, «Nel 2016 sono state effettuate 4.240 verifiche, che per nel 35,4% dei casi si sono concluse con esito negativo, per un totale di 162 milioni di euro di incentivi revocati e declassati (in altre parole, l’autorità decide che non vanno applicate le tariffe di un determinato Conto Energia bensì quelle, meno favorevoli, del successivo). Nell’arco di appena due anni si è assistito a un vero e proprio boom, in cui i sopralluoghi che si sono conclusi a sfavore dell’imprenditore sono diventati l’assoluta maggioranza: 5.104 verifiche nel 2017, concluse per il 54,7% con esito negativo, che corrispondono a 358 milioni di euro di incentivi recuperati; e addirittura 7.073 nel 2018, concluse per il 58,9% con esito negativo, per 515 milioni di euro di incentivi recuperati».  La Pitea chiosa: «Se si prosegue su questo trend, è lecito aspettarsi che nel 2019 si sfondi il muro degli 800 milioni di euro tolti ai proprietari».

L’Aceper analizza i motivi per cui si perde improvvisamente il diritto alle misure incentivanti e dice che «Nella stragrande maggioranza dei casi, non si tratta certo di carenze tecniche ma solo di puri e semplici vizi burocratici accertati con anni di ritardo: è il caso di un associato di Verona che, per motivi di sicurezza, ha coperto i cavi di collegamento dell’impianto con una canalina. Visto che quest’ultima non era presente nelle foto caricate anni prima sul portale del GSE, è scattato un provvedimento che ha declassato l’impianto dal II al III Conto Energia, cosa che comporta la restituzione di quasi 100.000 euro. Un associato abruzzese invece si è visto richiedere un preciso documento (Allegato P) nel corso dell’ispezione; non sapendo della possibilità di richiederlo direttamente all’ente, ha tardato nei tempi di risposta e si è visto dare una valutazione negativa. Eclatante il cosiddetto “Caso Zuccotti”, che prende il nome dall’azienda che ha messo sul mercato italiano centinaia di moduli di provenienza cinese con certificazioni contraffatte. I clienti truffati sono stati costretti a rimborsare di tasca propria gli incentivi ricevuti, senza nemmeno la possibilità di rivalersi sull’azienda, ormai fallita. Controversa anche la questione del DM 23 giugno 2016 sull’artato frazionamento, che vieta a un solo soggetto responsabile di possedere più impianti contigui. A un associato sono stati revocati milioni di euro per un’installazione che risaliva addirittura al 2009».

La Pitea conclude: «Con una mano il nostro governo tesse le lodi delle rinnovabili, con l’altra danneggia (retroattivamente e senza preavviso) coloro che per primi hanno scommesso sulle energie pulite. Inutile descrivere le conseguenze per i nostri associati, che rischiano di essere messi profondamente in crisi da un giorno all’altro. Come se non bastasse, questo modus operandi scoraggia pesantemente gli investimenti futuri perché crea un clima di assoluta incertezza e mancanza di garanzie».