Cambiamenti climatici e disuguaglianza energetica: la colpa è dei ricchi

Uno studio che fa luce sulla disuguaglianza energetica internazionale e sulla differenza estrema di consumi

[17 Marzo 2020]

Basandosi su dati della Banca Mondiale e dell’Unione europea, il nuovo studio “Large inequality in international and intranational energy footprints between income groups and across consumption categories”, pubblicato su Nature Energy da Yannick Oswald, Anne Owen e Julia Steinberger  del Sustainability Research Institute della School of Earth and Environment dell’università di Leeds, ha riscontrato «un’estrema disparità nell’uso dell’energia tra le persone più ricche e più povere, sia all’interno dei Paesi che tra di loro».

Lo studio, il primo nel suo genere, ha esaminato la disuguaglianza energetica per tutte le classi di reddito in 86 Paesi che vanno da Stati fortemente industrializzati ai Paesi in via di sviluppo e i ricercatori dell’Università di Leeds hanno calcolare la distribuzione delle impronte energetiche e i beni e servizi ad alta intensità energetica su cui i diversi gruppi di reddito tendono a spendere i loro soldi.  Ne è venuto fuori che «Le impronte energetiche crescono con la spesa e, di conseguenza, sono distribuite in modo diseguale.

Tra tutti i Paesi e le classi di reddito presi in esame dallo studio, in media il 10% più ricco della popolazione circa 20 volte più energia rispetto al 10% più povero.

«Inoltre – aggiungono Oswald,  Owen e Steinberger – con l’aumentare del reddito, le persone spendono più del loro denaro in beni ad alta intensità energetica, come pacchetti vacanze o automobili, portando a un’elevata disparità energetica». Dallo studio emerge infatti che il 10% dei consumatori più ricchi utilizza 187 volte più energia da carburante per veicoli del 10% dei consumatori più poveri.

Proprio nei trasporti le disuguaglianze tra ricchi e poveri sono estreme: il 10% della fascia più ricca dei consumatori utilizza più della metà dell’energia legata alla mobilità, la stragrande maggioranza della quale è i a base di combustibili fossili. Al contrario, i carburanti per uso residenziale, come quelli utilizzati in cucina e per il riscaldamento, e l’elettricità sono distribuiti in modo molto più equo, con il 10% della fascia superiore dei consumatori che consuma circa un terzo del totale.

I risultati dello studio dimostrano quanto siano vari i beni e servizi in termini di distribuzione e fabbisogno energetico e i ricercatori identificano anche le aree chiave in cui il consumo dovrebbe essere ridotto.

Oswald spiega: «Abbiamo scoperto che nessuna delle categorie energetiche è esente dalla disuguaglianza energetica o va a beneficio in egual misura delle popolazioni. Le categorie di consumo legate al trasporto sono tra le meno ugualitarie». Lo studio suggerisce che senza ridurre la domanda di energia di questi servizi, sia attraverso prelievi per i viaggiatori frequenti, promuovendo il trasporto pubblico e limitando l’uso di veicoli privati, sia con tecnologie alternative come i veicoli elettrici, la situazione è destinata a peggiorare, perché con il miglioramento dei redditi e l’aumento della ricchezza l’aumento del consumo di combustibili fossili crescerà velocemente.

Lo studio evidenzia anche una diseguaglianza energetica e una ineguale distribuzione delle impronte energetiche tra i diversi Paesi, «con il 20% dei cittadini del Regno Unito che appartengono al 5% dei principali consumatori di energia, insieme al 40% dei cittadini tedeschi e al 100% della popolazione lussemburghese. Nel frattempo, solo il 2% della popolazione cinese è tra i il primo 5% dei consumatori di energia e solo lo 0,02% della popolazione indiana».

Ma il 20% più povero della popolazione del Regno Unito consuma ancora 5 volte più energia pro- rispetto all’84% degli indiani più poveri, cioè circa un miliardo di persone.

Secondo la Owen, «I nostri risultati dimostrano che possiamo misurare le impronte energetiche di tutti i tipi di beni e servizi, in tutto il mondo, in modo comparabile. Questo tipo di ricerca è molto promettente per modellare le future implicazioni distributive delle politiche climatiche ed energetiche. La crescita e l’aumento dei consumi continuano a essere gli obiettivi chiave della politica e dell’economia odierna. Il passaggio all’energia a zero emissioni di carbonio sarà facilitato dalla riduzione della domanda, il che significa che i principali consumatori svolgeranno un ruolo importante riducendo il loro consumo di energia in eccesso».

I tre autori dello studio avvertono che «Anche se l’efficienza energetica migliorasse, senza riduzioni dei consumi e significativi interventi politici, entro il 2050 le impronte energetiche potrebbero raddoppiare rispetto al 2011. Considerando le categorie di consumo esaminate, potrebbe esserci un aumento del 31% attribuito al solo carburante dei veicoli e un altro 33% al riscaldamento e all’elettricità. Se il trasporto continuasse a fare affidamento sui combustibili fossili, questo aumento sarebbe disastroso per il clima».

Ma lo studio dice anche che la persistente disuguaglianza può essere prevenuta attraverso un intervento adeguato: «Diverse categorie richiedono diverse forme di azione: i consumi ad alta intensità energetica, come il volo aereo e la guida di auto, che si verificano principalmente nella fascia ad alto reddito, potrebbero, ad esempio, essere regolati attraverso le tasse sull’energia, mentre l’impronta energetica del riscaldamento e dell’elettricità può essere ridotta attraverso massicci investimenti in programmi pubblici per il retrofit residenziale».  Facendo l’esempio della Gran Bretagna i ricercatori evidenziano che un ultra-ricco vola di gran lunga più lontano, mentre il 57% della popolazione del Regno Unito non vola mai all’estero.

Steinberger, che è anche leader del progetto Living Well Within Limits e insegna ecologia sociale ed economia ecologica a Leeds, conclude: «E’ necessario prendere in seria considerazione il modo in cui modificare la distribuzione ineguale del consumo globale di energia, per far fronte al dilemma di offrire una vita dignitosa a tutti, proteggendo al contempo il clima e gli ecosistemi».

In Gran Bretagna, che si appresta ad ospitare la prossima Conferenza delle parti dell’Unfccc, dicono che questo studio probabilmente riaccenderà il dibattito dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite, nei quali proprio la questione dell’equità è sempre stata tra le più spinose e controverse e ha aperto un baratro tra i Paesi ricchi e quelli poveri o emergenti.

Ma c’è da scommettere che questi dati faranno irruzione anche nella campagna elettorale per le presidenziali statunitense, dove la destra repubblicana e la neodestra che appoggiano Donald Trump vedono il cambiamento climatico come un cavallo di Troia per instaurare il socialismo globale.

Ma Kevin Anderson, del Tyndall Centre di Manchester, che non ha partecipato allo studio, ha detto alla BBC News che «Questo studio dice a delle persone relativamente facoltose come noi ciò che non vogliamo sentirci dire. La questione climatica è inquadrata da noi emettitori: politici, uomini d’affari, giornalisti, accademici. Quando diciamo che non c’è voglia di tasse più alte sui voli, intendiamo che NON vogliamo volare meno. Lo stesso vale per le nostre auto e le dimensioni delle nostre case. Ci siamo convinti che le nostre vite sono normali, ma i numeri raccontano una storia molto diversa».

E mentre il premier conservatore britannico Boris Jhonson fa darwinismo sociale sul Coronavirus e l’ambientalista a giorni alterni. Gli autori dello studio fanno notare che nel bilancio del Regno Unito approvato di recente i conservatori si sono rifiutati di aumentare le tasse sul carburante e hanno promesso 4.000 miglia di nuove strade, mentre non viene menzionato l’isolamento termico degli edifici. La BBC dice di aver contattato il ministero del tesoro per discutere delle questioni fiscali sollevate nello studio ma che il ministero «si è rifiutato di commentarle».