Celle solari leggere come una bolla di sapone. Una ricerca del MIT finanziata da Eni

Un materiale così leggero da non sapere nemmeno di averlo sulla maglietta o sul notebook

[29 Febbraio 2016]

Al Massachssetts institute of technology (MIT) invitano ad immaginare celle solari così sottile, flessibili e leggere da poter stare su qualsiasi superficie, da un capello a una camicia o uno smartphone o perfino su un foglio di carta o un palloncino, così “leggere” da poter stare su una bolla di sapone.

Un sogno che i ricercatori del MIT hanno già realizzato, grazie a un finanziamento ENI, attraverso l’Eni-MIT Solar Frontiers Center, e della National Science Foundation Usa, producendo le celle solari più leggere e sottili di sempre e dicono: «Anche se per svilupparlo in un prodotto commerciale potrebbero volerci anni, , il laboratory proof-of-concept mostra un nuovo approccio che per realizzare celle solari che potrebbero aiutare a fornire energia alla prossima generazione di dispositivi elettronici portatili».

Il nuovo procedimento è descritto nello studio “In situ vapor-deposited parylene substrates for ultra-thin, lightweight organic solar cells”  su Organic Electronics da Vladimir Bulović, Annie Wang e Joel Jean, e Bulović spiega che «La chiave per il nuovo approccio è quello di ottenere con un unico processo la cella solare, il substrato che la sostiene  e una ricopertura protettiva per proteggerla dall’ambiente. Il substrato è realizzato in una posizione e non deve essere gestita, pulita, o rimossa dal vacuum durante la fabbricazione, riducendo al minimo l’esposizione alla polvere o ad altri contaminanti che potrebbero degradare le prestazioni della cella. Il passo innovativo è l’aver realizzato che si può far crescere il substrato allo stesso tempo  mentre cresce il dispositivo».

Per questo primo esperimento il team dl MIT ha utilizzato il parylene, un polimero flessibile comune, sia come substrato che per la ricopertura, e il DBP, un materiale organico, come strato fotoassorbente primario e sottolinea che «Il parylene è un rivestimento in plastica disponibile in commercio ampiamente utilizzato per proteggere dai danni ambientali i dispositivi biomedici impiantati e i circuiti stampati. L’intero processo avviene in una camera a vuoto a temperatura ambiente e senza l’uso di solventi, a differenza della  fabbricazione di celle solari convenzionale, che richiede alte temperature e prodotti chimici. In questo caso, sia il substrato che la cella solare vengono “coltivati” utilizzando tecniche di deposizione di vapori stabilizzati. Queste scelte di particolari materiali sono solo esempi», mentre l’innovazione principale è la produzione del substrato. Per il substrato e l’incapsulamento potrebbero essere utilizzati diversi materiali e diversi tipi celle solari a film sottile, compresi punti quantici o perovskiti, potrebbero essere sostituiti con gli strati organici utilizzati nei test iniziali.

Ma già ora il team ha ottenuto le celle solari complete più sottili e più leggere mai  realizzate e per dimostrarlo ne hanno inserita una sopra una bolla di sapone, senza scoppiare la bolla. I ricercatori riconoscono che questa cella potrebbe essere troppo sottile per poter essere utilizzata: basterebbe «Un respiro troppo forte  si potrebbe soffiarla via  . spiega Jean – ma i film di parylene con spessori fino a 80 micron possono essere depositati facilmente su attrezzature commerciali di uso comune, senza perdere gli altri benefici della i formazione substrato in linea».

Un film parylene, flessibile come la pellicola da cucina ma spesso solo un decimo, viene prima depositato su un robusto materiale di supporto, in questo caso, il vetro.  Wrang, che da anni lavora col  parylene, spiega a sua volta che «Capire come separare in modo pulito il materiale sottile dal vetro era una sfida chiave». I

Dopo aver completato il processo di fabbricazione, i ricercatori hanno staccato l’intero parylene/cellila solare/ parylene dal supporto, utilizzando un frame in film flessibile. Le cellule solari ultra-sottili flessibili così prodotte, compreso il substrato e la ricopertura, sono solo un cinquantesimo dello spessore di un capello umano e un millesimo dello spessore di celle equivalenti su substrati di vetro – circa due micrometri di spessore – eppure convertono la luce solare in energia elettrica con la stessa efficienza di quelle a base di vetro.

Bulović aggiunge:  «Abbiamo messo il nostro vettore in un vacuum system, quindi ci abbiamo depositato sopra tutto il resto e quindi abbiamo rimosso tutto. Come la maggior parte nuove invenzioni, sembra tutto molto semplice, una volta che è stato fatto. Ma in realtà lo sviluppo delle tecniche per produrre un  procedimento funzionante necessita  anni di sforzi».

Se prima i ricercatori utilizzavano un supporto di vetro loro celle solari, Jean dice che ora «potrebbe essere qualcos’altro. È possibile utilizzare quasi tutto il materiale, dal momento che la trasformazione avviene in condizioni così benigne. Il substrato e la cella solare possono essere depositati direttamente sul tessuto o sulla carta, per esempio. Mentre la cella solare in questo dispositivo dimostrativo  non è particolarmente efficiente, a causa del suo peso ridotto, il rapporto potenza-peso è tra i più alti mai raggiunto. Questo è importante per le applicazioni in cui il peso è essenziale, come ad esempio sui veicoli spaziali o sui palloni di alta quota utilizzati per la ricerca».

In un pannello solare a base di silicio, il cui peso è in gran parte dovuto alla copertura in vetro, può produrre circa 15 watt di potenza per chilogrammo di peso, le nuove cellule hanno già dimostrato di poter produrre 6 watt per grammo, circa 400 volte di più.

«Potrebbe essere così leggero da non sapere nemmeno che è lì, sulla vostra maglietta o sul notebook – dice Bulović – Queste cellule potrebbero essere semplicemente un’aggiunta a  strutture esistenti».

Anche se il team del MIT è convinto che ci vorrà del tempo per e sviluppare qualcosa a livello commerciale,  nel lungo periodo questo lavoro potrebbe aprire la strada a nuove applicazioni per l’energia solare. «Abbiamo un proof-of-concept che funziona – conclude Bulović – La domanda successiva è: “Quanti miracoli ci vuole per renderlo scalabile?” Noi pensiamo che abbiamo davanti un sacco di duro lavoro,  ma probabilmente non avremo bisogno di miracoli».