Chi investe nel carbone rischia di perdere più di 600 miliardi di dollari: le energie rinnovabili sono più economiche

I nuovi impianti eolici e solari sono già più economici del 60% delle centrali a carbone in funzione. Ma i governi continuano a investire denaro pubblico nel carbone

[13 Marzo 2020]

Secondo il rapporto “How to waste over half a trillion dollars – The economic implications of def energy for coal power investments”, appena pubblicato dal think tank finanziario Carbon Tracker, chi investe nella costruzione di centrali a carbone rischia di perdere 600 miliardi di dollari perché già oggi, in tutti i principali mercati – Europa e Italia comprese – è più economico produrre elettricità da fonti rinnovabili che da nuovi impianti a carbone. Inoltre, il rapporto rileva che in tutto il mondo, oltre il 60% delle centrali elettriche a carbone stanno producendo elettricità a costi più elevati di quelli che potrebbero essere prodotti costruendo nuovi impianti per sfruttare le energie rinnovabili. Carbon Tracker dice che «Entro il 2030, in tutti i mercati, sarà più economico costruire nuova capacità eolica o solare che continuare a far funzionare il carbone».

Il rapporto di Carbon Tracker ha confrontato il costo livellato dell’eolico onshore e del solare fotovoltaico su larga scala con il costo livellato del carbone e il costo marginale a lungo termine del carbone. Ha valutato i costi di gestione di ciascuna centrale a carbone, tenendo conto del carburante, della manutenzione e delle politiche di tariffazione e dell’inquinamento dell’aria esistenti o ratificate. Ha utilizzato i dati sui prezzi del carburante di carbone di Bloomberg e i costi del capitale di carbone dell’Internationa energy agency e della stessa Carbon Tracker. Ha analizzato alla fonte i costi de di capitale dell’eolico e del solare e le proiezioni di implementazione dell’International renewable energy agency e ha utilizzato il modello GPEM (Global Coal Power Economics Model) per tracciare il 95% delle centrali a carbone che sono in funzione, in costruzione o pianificate e che viene aggiornato trimestralmente.

Uno degli autori del rapporto, Matt Grey, co-responsabile power and utilities di Carbon Tracker, ha sottolineato che «Le energie rinnovabili stanno superando il carbone in tutto il mondo e fanno prevedere che gli investimenti nel carbone rischiano di diventare stranded assets  che potrebbero bloccare il carbone ad un alto costo per decenni. Il mercato sta guidando la transizione energetica low-carbon, ma i governi non lo stanno ascoltando. Per i governi ha economicamente senso annullare immediatamente ed eliminare progressivamente la costruzione di nuovi impianti a carbone».

Il fallimento economico del carbone – nonostante Donald Trump e i suoi amici australiani e polacchi si diano molto da fare per mantenerlo in piedi – è una buona notizia: per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C bisogna che, entro il 2030, il consumo globale di carbone nella produzione di elettricità diminuisca dell’80%, questo significa che bisognerebbe chiudere almeno una centrale a carbone al giorno fino al 2040. Invece, in tutto il mondo, si prevede di costruire nuove centrali a carbone per 499 GW e diversi impianti sono già in costruzione, il tutto per un costo di 638 miliardi di dollari, ma Carbon Tracker avverte che «I governi e gli investitori potrebbero non recuperare mai i loro investimenti perché le centrali a carbone impiegano generalmente dai 15 ai 20 anni per coprire i loro costi». Mentre il rapporto fa notare che «Il calo dei costi dell’energia eolica e solare e gli investimenti necessari per conformarsi alle vigenti normative sull’inquinamento da carbonio e dell’aria indicano che il carbone non è più la forma di energia più economica in tutti i principali mercati».

Insomma, mentre i governi firmano accordi climatici e le multinazionali energetiche fanno greenwashing spinto, il rapporto dimostra come si stanno sprecando più di mezzo trilione di dollari invece di investirli nelle energie rinnovabili.

Carbon Tracker ha valutato la sostenibilità economica del 95% delle centrali a carbone che sono in funzione, in costruzione o pianificate in tutto il mondo: 6.696 unità operative (2.045 GW) e 1.046 unità in corso di realizzazione (499GW), scoprendo che: «In Cina sono a rischio 158 miliardi di dollari, con 100 GW di centrali a carbone in costruzione e 106 GW previsti. Ha 982 GW di energia di carbone esistente e il 71% di questi costa di più rispetto alla costruzione di nuove energie rinnovabili. In India sono a rischio 80 miliardi di dollari, con 37 GW di carbone nelle centrali in costruzione e 29 GW previsti. Ha 222 GW di capacità di carbone esistente e metà – il 51% – costa di più rispetto alle nuove energie rinnovabili. Nell’Ue sono a rischio 16 miliardi di dollari per 7.6GW di nuove centrali a carbone, soprattutto in Polonia e nella Repubblica Ceca. Tuttavia, ha una capacità operativa di 149 GW a un costo del 96% superiore rispetto alle nuove energie rinnovabili. Gli Stati Uniti hanno una capacità di carbone pari a 254 GW e quasi la metà – il 47% – costa di più rispetto alle nuove energie rinnovabili. Non è previsto alcun nuovo impianto a carbone. Nel sud-est asiatico sono previsti 78 GW di impianti energetici a carbone o in costruzione per un costo di 124 miliardi di dollari, ma entro il 2030 sarà più economico costruire nuove energie rinnovabili che continuare a gestire le centrali a carbone esistenti».

Il rapporto fornisce solidissimi argomenti al crescente numero di investitori che premono sugli istituti finanziari e le companies perché adeguino i loro portafogli di investimenti all’Accordo sul clima di Parigi.

Pochi giorni fa, Sir Christopher Hohn, il miliardario che gestisce hedge fund e co-fondatore della Children’s Investment Fund Foundation (CIFF), ha invitato le principali banche centrali e istituzioni finanziarie dell’Ue e del Regno Unito a porre fine al finanziamento del carbone e ha minacciato di citare in giudizio Barclays, HSBC e Standard Chartered se continueranno a finanziare nuovi progetti di centrali a carbone e, in una nota pubblicata sul sito Internet del CIFF ha ricordato che «Il carbone è la più grande singola fonte di emissioni di gas serra a livello globale e i rischi del suo utilizzo continuativo nel settore dell’energia elettrica non sono adeguatamente affrontati dai regolatori e dal sistema finanziario».

A Carbon Tracker dicono che nell’Unione europea – a cominciare dall’Italia – il carbone è destinato a diventare un obsoleto ricordo del passato grazie a un forte prezzo del carbonio e anni di investimenti nelle energie rinnovabili. Eccellenti risorse energetiche rinnovabili negli Stati Uniti, bassi costi di capitale in Cina e politiche per un basso costo in India, fanno sì che anche questi Paesi non siano molto indietro.

Ad essere in ritardo sono soprattutto I Paesi del sud-est asiatico «Perché i mercati energetici immaturi rendono difficile attrarre finanziamenti globali e i governi di Cina, Giappone e Corea del Sud continuano a sostenere gli investimenti nel settore del carbone», denuncia il rapporto, che però evidenzia che «Le forze del mercato faranno scomparire l’energia del carbone nei mercati liberalizzati, dove gli sviluppatori di energia rinnovabile trarranno vantaggio dal crescente divario dei prezzi».

Ma lo stesso rapporto denuncia che numerosi governi in tutto il mondo continuano a incentivare e progettare nuove centrali a carbone «poiché le normative di mercato danno al carbone un vantaggio economico sleale. Inoltre, alcuni mercati regolamentati e semi-regolati, consentono che gli alti costi del carbone vengano trasferiti sui consumatori attraverso le bollette, oppure usano il denaro dei contribuenti per sovvenzionare gli operatori del carbone in modo che possano vendere energia a un costo inferiore a quello che la producono».

Secondo un’altra autrice del rapporto, Sriya Sundaresan, anche lei co-responsabile power and utilities di Carbon Tracker, «Gli investitori dovrebbero stare attenti a fare affidamento sul continuo sostegno dei governi al carbone, perché una phase-out salverà i loro miliardi di elettori e renderà le loro economie più competitive».

Il rapporto invita i governi a una maggiore deregulation in favore delle energie rinnovabili perché possano competere con il carbone in condizioni di parità; ad annullare i nuovi progetti e eliminare gradualmente le centrali a carbone esistenti; a introdurre regolamenti che consentano alle energie rinnovabili di offrire il massimo del valore ai loro sistemi energetici e avverte: «La mancata attuazione di questi step aggraverà il rischio di stranded asset   e potrebbe comportare una sovraccapacità. Questo a sua volta farà calare i prezzi dell’energia, creerà un segnale di investimento negativo per l’energia rinnovabile e, in ultima analisi, reprimerà la transizione verso una low carbon economy».