Ci vorranno almeno 20 anni perché la Cina esca dallo smog velenoso dell’economia al carbone

[9 Aprile 2014]

Ernst Ulrich von Weizsacker, co-presidente dell’International Resource Panel è in Cina per partecipare al Boao Forum For Asia, iniziato ieri e che si concluderà l’11 aprile, che quest’anno ha per tema «Il nuovo futuro dell’Asia: identificare i nuovi motori della crescita». Approfittando della presenza alla “Davos Cinese” del noto fisico svizzero, l’agenzia ufficiale cinese Xinhua lo ha intervistato sul tema ambientale che attualmente preoccupa di più la leadership della Repubblica Popolare per le ricadute economiche, sociali e sulla salute: l’inquinamento atmosferico.

La risposta non è stata confortante. Secondo von Weizsacker «Potrebbero essere necessari una ventina di anni per risolvere il grave problema dell’inquinamento con il quale si confrontano le città del Paese».

Il copresidente dell’International Resource Panel, fondato nel 2007 per fornire una valutazione scientifica indipendente, coerente e autorevole per l’uso sostenibile delle risorse naturali e sugli impatti ambientali dell’uso delle risorse durante tutto il ciclo di vita, ha ricordato che «L’inquinamento negli anni ’60 è stato un rompicapo anche per la Germania. Questa situazione spinse la Germania ad adottare in numerose città una stringente regolamentazione in materia di qualità dell’aria, forzando le centrali a carbone, i produttori di acciaio ed altre industrie a ridurre e loro emissioni inquinanti».

Von Weizsacker è convinto che «La dipendenza dal carbone della Cina è più o meno equivalente a quella della Germania negli anni ‘60. In Germania, ci sono voluti circa 20 anni  per rimpiazzare un modello caratterizzato da una dipendenza troppo grande dal carbone e questo è fattibile anche in Cina».

Anche se le proporzioni tra i due Paesi, sia territorialmente che demograficamente, sono abissalmente distanti, e se la situazione globale delle emissioni di gas serra è molto mutata (in peggio) a livello globale rispetto agli anni ’60, il fisico svizzero ha detto di essere «Impressionato dalla determinazione della Cina ad accrescere la sua efficienza energetica ed a lottare contro l’inquinamento dell’aria nei prossimi anni».

Il governo comunista cinese ha infatti promesso che nel 2020 le energie “non-fossili” (tra le quali Pechino mette anche il nucleare)  rappresenteranno il 15% del totale del consumo di energia primaria e che le emissioni per unità di Pil caleranno del 40-45% rispetto ai livelli del 2005. Promesse che non hanno impedito che la Cina sia per periodi sempre più lunghi soffocata da  “ondate” di smog che si stanno intensificando dopo il primo picco toccato nel 2012.

A marzo il primo ministro cinese  Li Keqiang aveva definito l’inquinamento atmosferico «Allarme rosso inviatoci dalla natura di fronte ad un modello di sviluppo inefficace e cieco», poi aveva solennemente affermato che la Cina «Dichiarerà  guerra all’inquinamento», che sarebbe quindi una guerra contro il modello di sviluppo rapidissimo e dagli imponenti costi ambientali e sociali che il Partito comunista ha voluto in Cina negli ultimi 30 anni, sposando l’iperliberismo economico al controllo autoritario della società.

Bisognerà capire se un Pianeta in piena crisi ecologica e climatica sarà in grado di aspettare che si compia la ventennale transizione della Cina verso un’economia low carbon almeno quanto quella della Germania.