Ecuador: al referendum contro il petrolio vince il sì con circa il 70%

Bocciate anche le miniere nelle aree protette e nei centri urbani. Gli ambientalisti tra soddisfazione e sospetti

[5 Febbraio 2018]

In Ecuador indios e ambientalisti hanno vinto la battaglia contro la compagnia petrolifera statale Petroamazonas che aveva cominciato a trivellare il Parque Nacional Yasuní, la zona con la maggiore biodiversità per m2 del pianeta, che voleva sfruttare i blocchi ITT 31 e  43 e che stava costruendo impianti a Ishpingo, Tambococha e Tiputini.  A uscire sconfitto dal referendum è l’ex presidente di sinistra dell’Ecuador Rafael Correa  che nel 2013, capovolgendo una precedente decisione che vietava l’estrazione di petrolio nel Parco, ottenne dal Parlamento di Quito il via libera all’estrazione petrolifere in aree che si spingono dentro la  Zona Intangible Tagaeri-Taromenane (Zitt), creata dallo stesso C orrea per proteggere i popoli indigeni in isolamento volontario.

Ora il popolo ecuadoregno ha detto a schiacciante maggioranza (più di 6 milioni di voti, il 70% circa) sì alla settima domanda dei referendum voluti dall’attuale presidente di sinistra, Lenin Moreno, che ha chiamato il suo popolo a decidere su importanti temi economici, politici, giudiziari e ambientali. Il popolo ha invece detto no alla rielezione senza limiti di mandati per il presidente della Repubblica.

La domanda sulle trivellazioni petrolifere era questa: «Siete d’accordo nell’incrementare la zona intangibile in almeno 50.000 ettari e a ridurre l’area di sfruttamento petrolifero nel Parque Nacional Yasuní da 1,030 a 300 ettari?”, Domenica gli equadoregni hanno risposto sì, come chiedevano coalizioni ambientaliste come Yasunidos. Un sì che vuol dire che il governo dovrà bloccare lo sfruttamento dei blocchi 31 e 43 ITT e lasciare il petrolio dello Yasuní sotto terra. Un sì che impedisce che Petroamazonas cominci a estrarre entro quest’anno petrolio dal campo di  Ishpingo, il gioiello della corona del blocco petrolifero ITT, come avrebbe voluto il ministero degli idrocarburi non appena il ministero dell’ambiente avesse terminato le sue valutazioni. Ishpingo si trova nell’area contigua della Zona Intangible Tagaeri Taromenane, una fascia larga 10 Km che circonda  i 758.000 ettari dell’área de exclusión, istituita con il Decreto Ejecutivo 2187 del 3 gennaio 2007. Ma una parte del campo di Ishpingo è proprio sopra la vera e propria Zona Intangible.

Pedro Bermeo, di Yasunidos, che si è battuto per un sì critico alla domanda 7, ha detto a  Mongabay Latam: «Vigileremo affinché il governo attui la volontà popolare di proteggere lo  Yasuní. Ci incaricheremo di far rispettare questo quesito, perché venga  realmente ampliata la Zona Intangibile con studi tecnici basati sulla mobilità dei popoli isolati, perché non siano solo 50.000 ettari ma molti di più». Esistono analisi realizzate a partire dagli studi di impatto di Petroamazonas nella zona che rivelerebbero che i campi 31 ITT  hanno bisogno di un’are molto meno estesa di quella richiesta.

Per l’antropologo José Proaño, direttore per l’America Latina di Land is Land, nonostante il quesito 7 dei referendum non fosse chiarissimo,  «La vittoria del sì è un passo enorme per proteggere la biodiversità dello Yasuní e rappresenta un precedente a livello regionale. Credo che il governo debba aver chiaro quale sia la richiesta del popolo. Il popolo non deve decidere solo sé è d’accordo o no, il popolo deve decidere come si devono fare le cose».  Per quanto riguarda il campo Ishpingo, Proaño  ha detto che «La zona cuscinetto non serve per limitare le attività estrattive, al contrario, la zona cuscinetto serve per migliorare la qualità ambientale della Zona Intangible, pquind, le attività dentro la zona contigua dovrebbero essere proibite, mentre i blocch 31 e 43 ITT si estendono fino alla Zona Intangible».

Ma una parte del movimento ambientalista non festeggia, come Roque Sevilla, presidente dell’iniziativa Yasuní ITT ed ex sindaco di Quito, che chiedeva di lasciare il greggio sotto terra  nello Yasuní  in cambio di una compensazione economica da parte della comunità internazionale, è convinto invece che il referendum sia stato solo una cinica formalità e che alla fine il governo consentire un qualsiasi tipo di estrazione petrolifera anche in aree più limitate di un territorio così fragile potrebbe provocare un danno brutale causato dalle torce per bruciare i gas dei pozzi che restano sempre accese e per l’inquinamento dell’aria e la contaminazione prodotta comunque dalle attività estrattive e che di questo a farne le spese saranno la fauna e i popoli in contattati. Per Sevilla, nonostante la vittoria del sì al referendum, «Il ministero dell’ambiente non ha la forza politica per negare allel’autorizzazione per sfruttare il campo di Ishpingo. Sono di una prepotenza assoluta: dove c’è il petrolio lo si sfrutta, succeda quel che succeda».

Attualmente nel campo di Tiputini, il primo sfruttato del blocco 43, vengo estratti circa 50.000 barili e a dicembre è entrato in produzione il campo di Tambococha, dentro il  Parque Nacional Yasuní. L’ultimo che resta da sfruttare è proprio il campo Ishpingo.

Natalia Bonilla di Acción Ecológica non condivide tutto questo pessimo e tutti questi sospetti: «Credo  che sia importante far notare che la territorialità dei popoli in isolamento volontario si verifica in quasi tutto lo Yasuní, poiché stiamo parlando di quattro clan indipendenti che hanno territori diversi e differenziati. Quindi, l’espansione della zona intangibile può essere una boccata d’aria, ma ciò che è veramente necessario è un riconoscimento e una protezione di tutto il territorio occupato dai popoli in isolamento volontario, Critico il fatto che si voglia indurre la gente a pensare che il territorio dei popoli isolati corrisponda solo alla zona intangibile. Questo è falso. I villaggi isolati si trovano in tutto lo Yasuní, dal blocco gestito da Repsol al campo di Armadillo, fino al campo 17, che è una delle aree più conflittuali, dove lo sfruttamento del petrolio non si è fermato. Sono anche a sud, quasi al confine con il territorio di Zápara e c’è anche una presenza nelle zone ITT e di blocco 31».

Quindi il referendum è stato il primo passo – necessario e ineludibile – per fermare la marcia delle trivelle e avviare a quella che Land is Land Latinoamérica definisce la necessità di stabilire «un ampliamento della Intangible, che aiuti davvero a proteggere i popoli in isolamento volontario», ma per farlo c’è bisogno di una serie di analisi tecnic he, antropologiche, etnografiche e di un dialogo con gli indios waoranis.

La vittoria del sì contro il petrolio rappresenta certamente un grande precedente per la difesa dell’ambiente attraverso una decisione popolare e nello stesso giorno è sto detto anche sì dal 68% degli equadoregni ad un altro referendum che chiede di emendare a Constitución de la República del Ecuador per proibire la realizzazione di miniere nelle aree protette integrali (come la cordillera del Cóndor) e nei centri urbani. Nonostante i dubbi, sarà difficile per un governo di sinistra che quei referendum li ha comunque autorizzati andare contro più dei due terzi del suo popolo.