Ecuador: il tradimento di Lenín. Polizia ed esercito attaccano gli indios che protestano contro FMI ed estrattivismo

Ma nelle città scioperi e scontri contro la fine dei sussidi ai carburanti e il "paquetazo"

[8 Ottobre 2019]

Il 3 ottobre, il presidente dell’Ecuador, Lenín Moreno, ha decretato lo Stato di emergenza per cercare di sedare la forti proteste e gli scioperi contro le drastiche misure economiche decretate dal suo governo di “sinistra” su indicazione del Fondo Monetario Internazionale. L’’ex vicepresidente “comunista” e disabile di Rafael Correa – con il quale la rottura è totale – ha comunicato c via Twitter di aver disposto lo Stato di emergenza «Per proteggere l’ordine, la sicurezza dei cittadini e per tenere sotto controllo coloro che pretendono di provocare il caos. Non cederemo al ricatto e non agiremo secondo la legge». La dichiarazione dello stato di emergenza permette a Moreno di dispiegare le forze armate nelle strade e di chiudere porti, aeroporti e valichi di frontiera. Inoltre. lo autorizza a spostare la sede del governo in qualsiasi luogo del territorio e a disporre la censura preventiva dei media e dei social media, giustificandola con le ragioni dello stato di emergenza e la sicurezza dello Stato.

Dal palazzo Carondelet a Quito, dove è asserragliata, la ministro del governo, María Paula Romo, ha informato i media locali che lo stato di emergenza durerà per 60 giorni: «E’ desiderio del presidente e di tutti gli ecuadoriani ritrovare la calma il più presto possibile e di riguadagnare l’ordine per tornare a lavorare e produrre«, poi ha definito lo stato di emergenza «una decisione difficile, ma necessaria». Ma invece di calmare la situazione lo stato di emergenza si è rivelato un fiammifero gettato in una polveriera: il 3 ottobre diversi sindacati dei trasportatori hanno dichiarato uno sciopero nazionale contro l’eliminazione del sussidio per il carburante e la conseguente liberalizzazione dei prezzi di benzina e diesel imposta dal FMI. I prezzi della benzina extra ed ecopais, le più utilizzate in Ecuador, sono passati immediatamente da 1,85 dollari a 2,39 per gallone, il diesel è aumentato da 1,03 a 2,29 dollari per gallone (+123%). Allo sciopero si sono subito uniti i sindacati dei tassisti, del trasporto passeggeri, dei camionisti, degli studenti e insegnanti, del turismo, della funzione pubblica e i gruisti, paralizzando l’Ecuador mentre le manifestazioni, guidate dagli studenti nelle città e dagli indios nelle aree rurali, si svolgevano in tutto il Paese con una grande partecipazione a Quito, Guayaquil e Cuenca durante le quali ci sono stati scontri tra giovani e polizia nel centro storico di Quito e diversi giornalisti dicono di essere stati aggrediti da uomini in divisa.

Almeno uno studente è morto travolto da un mezzo della polizia, ma la Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie) denuncia anche una forte repressione nella parrocchia di La Esperanza – poco più di 7.000 abitanti – nella provincia di Imbabura, nel nord del Paese, dove il 6 ottobre una gran quantità di uomini in uniforme, a cavallo e su veicoli blindati, ha disperso con la forza i manifestanti «sparando pallottole e gas lacrimogeni«,, Secondo la coalizione indigena, «I poliziotti e i militari hanno fatto irruzione nelle case e nei terreni, mentre gli abitanti si rifugiavano nelle colline che circondano il paese». Ma non sono mancate violenze e vandalismi anche da parte dei manifestanti e, in un comunicato, la Conaie e tutta la sua struttura organizzativa «Respinge e ripudia gli atti vandalici alieni alle ragioni della mobilitazione nazionale, a su volta denuncia «Le infiltrazioni di agenti provocatori e violenti poste in atto per delegittimare la lotta sociale e provocare il caos».

In Ecuador le proteste sono iniziate due giorni dopo che il governo di Lenín Moreno – nato come prosecuzione di quello di sinistra di Correa e rapidamente spostatosi sul fronte neoliberista e verso un’alleanza con Usa e Colombia contro il Venezuela e quel che resta degli altri governi bolivaristi – aveva annunciato le misure economica prese dopo l’accordo raggiunto con il FMI. Dopo lo sciopero generale dei trasporti, diversi movimenti hanno dichiarato la mobilitazione permanente, fino al ritiro delle misure del governo che sono state chiamate con disprezzo “paquetazo”. Come risposta la Romo ha annunciato l’arrsto di 19 persone (ma sarebbero molte di più), accusate di aver provocato l’interruzione della circolazione stradale e di servizi pubblici.

Oltre a eliminare i sussidi per il carburanti con il Decreto Ejecutivo 883, Moreno ha annunciato anche una serie di riforme economiche e lavorative che renderebbero più “flessibile” il lavoro, riducendo sostanzialmente i diritti e i salari dei lavoratori: 20% in meno di retribuzione per i contratti occasionali; le ferie per i lavoratori del settore pubblico vengono ridotte da un mese a 15 giorni all’anno; i lavoratori delle imprese pubbliche dovranno contribuire con, minimo, un giorno di lavoro gratuito al mese.  Moreno ha detto che «Questa serie di misure aiuteranno a creare «più posti di lavoro, più iniziative imprenditoriali e maggiori opportunità».  La realtà è che questa cura da cavallo in un Paese poverissimo, che per decenni ha svenduto le sue risorse nazionali e che usa il dollaro statunitense come moneta, è il frutto di un accordo capestro con il FMI che, in cambio di un prestito di oltre 4 miliardi di dollari, ha chiesto di aumentare le tasse per l’1,5% del PIL e di puntare tutto sul miglioramento della situazione monetaria e finanziaria. Un analista internazionale, Alexis Matute, pensa che queste misure avranno l’effetto opposto e che diversi settori produttivi verranno colpiti dall’eliminazione dei sussidi sui combustibili.

Ma proprio i sussidi sui carburanti aprono una contraddizione nel fronte antigovernativo, tra indios e lavoratori cittadini. Il Conaie ha annunciato una marcha indígena fino a Quito e gli indios si stanno mobilitando in tutto il Paese. Una brutta notizia per Lenín Moreno che, da ex militante di sinistra, sa bene che in Ecuador i governi di destra sono stati spazzati via proprio dalle proteste degli indios che poi hanno trovato alleati tra i lavoratori e i poveri delle città.

Anche la Conaie, in risposta alle azioni armate contro le comunità indigene, ha decretato un proprio stato di emergenza in tutti i territori indigeni del Paese, avvertendo che, in base alla Costituzione, i territori indigeni hanno diritto all’autogoverno e che militari e poliziotti che entreranno nei territori indigeni saranno «ritenuti sottoposti alla giustizia indigena». Al centro delle proteste delle organizzazioni indios equadoregne c’è il rifiuto dell’estrattivismo minerario e petrolifero che ha visto gli indios organizzare una vera e propria resistenza nelle province di Pastaza, Bolívar e Carchi, per chiedere il rispetto di una sentenza favorevole alla difesa dei loro territori e delle risorse naturali di fronte alle misure urgenti prese dal governo centrale per superare la crisi economica.

Mentre a Quito si protesta perché la benzina e il gasolio sono troppo cari, Jaime Vargas a capo del Consejo de Gobierno del Conaie, scrive in un comunicato: «L’agenda di lotta delle organizzazioni sociali e il malessere della popolazione comportano essenzialmente il rifiuto dell’estrattivismo e delle politiche neoliberiste imposte dal governo nazionale, attraverso l’estensione della frontiera petrolifera e mineraria (subtrópico, austro, noroccidente e sur amazónico), accordi con il FMI, flessibilità del lavoro, approfondendo i gravi problemi sociali ed economici del Paese. Esortiamo il governo nazionale e le autorità corrispondenti a rispondere alle richieste territoriali e a promuovere soluzioni chiare, condanniamo l’uso della forza pubblica, della polizia come dei militari, per reprimere e intimidire compagni indigeni, campesinos i e cittadini che esercitano il loro diritto costituzionale alla resistenza per l’adempimento dei diritti. Denunciamo la militarizzazione dei territori e l’apertura di procedimenti giudiziari contro leader, comuneros e dirigenti, poiché costituiscono una criminalizzazione della protesta sociale. Le richieste del movimento indigeno, del movimento sindacale, delle organizzazioni popolari, del movimento femminile e della popolazione in generale si uniscono per spingere verso un programma di unità nazionale che ci consenta di ottenere grandi vittorie per la maggioranza operaia, contadina, popolare, delle donne, degli studenti, della gioventù, degli artisti, dell’Ecuador. Lanciamo un appello a tutte le organizzazioni, comunità, lavoratori, agricoltori, professionisti, studenti e collettivi di unirsi alle jornadas progresivas de lucha in ciascun territorio come protesta per le politiche anti-popolari del governo aggiungendosi alle azioni nazionali».