Fotovoltaico e valore catastale: tutto quello che c’è da sapere

[27 Febbraio 2014]

Il mio impianto fotovoltaico fa aumentare il valore catastale di casa mia? Dovrò accatastarlo? Dovrò pagare di più tutte le tasse che sono collegate al valore catastale dell’edificio, come la Tasi e l’Imu? Queste sono le domande che assillano decine di migliaia di proprietari di impianti fotovoltaici dopo la pubblicazione, lo scorso 19 dicembre, della Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 36/E. Una Circolare che ha fatto sì chiarezza, ma che rischia di essere l’ennesimo attacco alla generazione distribuita.

Vediamo cosa è successo.

L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare citata, ha definito nel dettaglio in quali casi un impianto fotovoltaico contribuisce al valore catastale di un edificio, aumentandone la rendita, e in quali casi, invece, non lo fa.

Nel caso di edifici che ospitano impianti fotovoltaici che costituiscono delle centrali elettriche la questione è abbastanza lineare. Infatti la Circolare recita che questi devono essere accertati nella categoria “D/1 – opifici” e che nella determinazione della relativa rendita catastale devono essere inclusi i pannelli fotovoltaici, in quanto ne determinano il carattere sostanziale di centrale elettrica e, quindi, di “opificio”.

Nel caso di impianti realizzati su edifici o su aree di loro pertinenza la questione si fa ben più complessa. La Circolare esclude l’obbligo di accatastamento come unità immobiliari autonome, poiché gli impianti fotovoltaici si possono assimilare agli impianti di pertinenza degli immobili, ma afferma che, se l’impianto fotovoltaico ne incrementa il valore capitale (o la relativa redditività ordinaria) di una percentuale pari al 15% o superiore è allora necessario procedere alla rideterminazione della rendita dell’unità immobiliare a cui risulta integrato (in base ad una prassi estimativa adottata dall’amministrazione catastale su istruzioni diramate dall’Agenzia del Territorio nel 2005). Il soggetto interessato, quindi, dovrà procedere a ricalcolare la rendita dell’edificio e a dichiararne la variazione, con le relative conseguenze in termini di tassazione connessa.

Fanno però eccezione gli impianti di piccole dimensioni. Infatti, in questo caso non sussiste alcun obbligo di dichiarazione al catasto, né come unità immobiliare autonoma, né come variazione della stessa (in considerazione della limitata incidenza reddituale dell’impianto). Ma quali sono gli impianti che possono definirsi di piccole dimensioni? Secondo l’Agenzia devono soddisfare almeno uno dei seguenti requisiti:

· nel caso di singole abitazioni, devono avere potenza non superiore a 3 kWp;

· nel caso di condomini, devono avere potenza, espressa in kWp, non sia superiore a tre volte il numero delle unità immobiliari le cui parti comuni sono servite dall’impianto, sia nel caso di impianti al suolo sia su copertura;

· nel caso di installazioni a terra, devono avere il volume individuato dall’intera area destinata all’intervento (comprensiva, quindi, degli spazi liberi che dividono i pannelli fotovoltaici) e dall’altezza relativa all’asse orizzontale mediano dei pannelli stessi, inferiore a 150 m3, in coerenza con il limite volumetrico stabilito dall’art. 3, comma 3, lettera e) del decreto ministeriale 2 gennaio 1998, n. 28.

Ricapitolando: se l’impianto non supera i 3 kWp il problema non si pone. Ma per gli impianti compresi nella fascia tra i 3 e i 20 kWp bisogna capire se l’impianto incrementa o meno il valore catastale dell’edificio del 15% o più. Situazione, quest’ultima, non impossibile, anche per piccoli impianti di 4, 5 o 6 kWp, soprattutto nel caso di installazioni a servizio di edifici dal basso valore catastale. Oltretutto, la valutazione non può certo farla il semplice proprietario: occorre infatti un professionista abilitato che faccia correttamente i calcoli.

La questione è delicatissima, perché attualmente, nel nostro Paese, ci sono qualcosa come 312.985 impianti fotovoltaici di potenza compresa tra 3 e 20 kWp (Dati Atlasole). Una enormità.